Le micro imprese –che costituiscono il 95 per cento del totale delle attività economiche presenti nel Paese in cui è impiegato, al netto del pubblico impiego, il 42 per cento circa degli addetti– nel primo semestre del 2024 hanno pagato l’energia elettrica oltre due volte e mezzo in più delle grandi imprese (pari al +164,7 per cento).
In merito alle tariffe dell’energia elettrica, ad aver aumentato lo storico differenziale tra piccole e grandi imprese ha contribuito l’entrata in vigore nel 2018 della riforma degli energivori.
L’effetto prodotto da questa novità legislativa, che prevede un costo agevolato dell’energia elettrica per le grandi industrie, di fatto ha ridotto notevolmente a queste ultime la voce “tasse e oneri”, ridistribuendone il carico a tutte le altre categorie di imprese escluse dalle agevolazioni.
E’ altresì vero che, a seguito delle misure messe in campo successivamente dal Governo Draghi, questo gap si è ridotto.
Va altresì ricordato che nel mercato libero le offerte di prezzo possono interessare solo la componente energia; le altre voci di spesa – come le spese di trasporto, gli oneri di sistema, la gestione del contatore etc. – sono stabilite periodicamente dall’Autorità per l’Energia e sono uguali per tutti i fornitori, prosegue la Cgia.
Sono quasi 2,4 milioni le famiglie italiane in povertà energetica (Pe).
Stiamo parlando di 5,3 milioni di persone che nel 2023 vivevano in abitazioni poco salubri, scarsamente riscaldate d’inverno, poco raffrescate d’estate, con livelli di illuminazione scadenti e con un utilizzo molto contenuto dei principali elettrodomestici bianchi.
I nuclei familiari più a rischio sono costituiti da un elevato numero di persone, che si trovano in condizioni di disagio economico e le abitazioni in cui vivono sono in cattivo stato di conservazione.
A livello territoriale la situazione più critica si verifica in Calabria, dove il 19,1 per cento delle famiglie, composte da quasi 349mila persone, si trovava in condizioni di Povertà economica.
Seguono la Basilicata (17,8 per cento), il Molise (17,6 per cento), la Puglia (17,4 per cento) e la Sicilia (14,2 per cento).
Le regioni, invece, meno interessate da questo fenomeno sono il Lazio (5,8 per cento del totale delle famiglie), Friuli Venezia Giulia (5,6 per cento) e, in particolare, Umbria e Marche (entrambe con il 4,9 per cento).
Due anni fa, il dato medio nazionale era pari al 9 per cento (vedi Tab. 5).
A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato i dati estrapolati dal Rapporto Oipe 2023.
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