“Non solo a punti. Alle aziende serve una patente di credibilità”


L’ULTIMA NOVITÀ, in ordine di tempo, riguarda le società sportive. Sono anche loro a doversi dotare del Modello organizzativo 231. Una realtà oggi di casa in moltissime aziende, chiamate a prevenre sempre di più i rischi legati alle loro attività. In materia di sicurezza, ma anche di sostenibilità ambientale. “Senza contare gli ambiti della regolarità fiscale o dei beni culturali”, precisa Stefano Lombardi (nella foto in alto), avvocato e docente di Legislazione dei beni culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e esperto del decreto legislativo 231. “Quello che – spiega – precisa che nel caso una società si arricchisca grazie all’operato criminale di un suo dipendente dovrà risponderne insieme a lui. Multe e interdizioni a lavorare con la pubblica amministrazioni, le sanzioni previste”.

Capaci, per una volta, di generare un circuito virtuoso. Attorno a questa norma, in vigore dal 2001, si è creata una forma di governance più attenta ai temi dell’etica e dell’organizzazione nel mondo imprenditoriale e produttivo. “Lo strumento denominato, infatti, Modello organizzativo – continua Lombardi – contiene regole comportamentali che possono prevenire il rischio di reati commessi dai dipendenti di una società. Se questa dimostra di aver adottato le regole previste e di averle fatte rispettare, non sarà chiamata a rispondere dei comportamenti criminosi del personale. In caso contrario, dovrà farne le spese sotto il profilo penale e amministrativo”.

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La legge parla di responsabilità amministrativa. In cosa consiste esattamente? “Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, parla precisamente di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni. Con questa norma per la prima volta il nostro ordinamento ha introdotto il concetto di “responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato“, da intendersi come forma di responsabilità che si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente l’illecito”.

La norma introduce il concetto di “rimproverabilità”. Forse a indicare una responsabilità, diciamo così, minore da parte di un’impresa? “Di fatto si sanziona un soggetto giuridico per un illecito che non ha commesso direttamente, ma che è la conseguenza di una “colpa organizzativa””.

Da qui la necessità di dotarsi di modelli organizzativi, giusto? “Esatto. I Modelli Organizzativi di gestione e controllo sono strumenti di prevenzione. Un’arma per difendersi da eventuali illeciti”.

Adottare questo modello, però, non è un obblgo. Non è una contraddizione? “Il Modello 231 è obbligatorio non per legge ma di fatto. Perché è fondamentale per ottenere finanziamenti dalle banche, iscrizione ad albi e per partecipare a bandi di gara. Viene chiesta alla società una patente di credibilità. Così fondamentale che oggi anche la piccola e media impresa preferisce dotarsene per essre più concorrenziale”.

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Perché è diventato uno strumento così importante? “All’inizio le imprese si erano rivelate refrattarie perché questa novità suonava in conflitto con i più consolidati principi del diritto tradizionale. Societas delinquere non potest, dicevano i latini. Poi molti l’interpretavano come un ulteriore appesantimento burocratico”.

Le imprese chiedono semplificazione. “Questa legge non semplifica ma aiuta. Perché costringe l’imprenditore ad essere più attento alle procedure, all’ambiente, alla sicurezza”.

Chi controlla la corretta applicazione delle norme? “L’organismo di vigilanza. Un organo esterno, indipendente, che verifica che il modello sia, appunto, corretto e anche aggiornato. E inolte calibrato sulla natura di ogni singola società”.

Sono più i benefici o più gli oneri? “Il segreto sta nel considerare che gli oneri che imponi all’impresa sono compensati da una maggiore accessibilità ad appalti, bandi gara, erogazioni finanziarie da parte di fondi o, più semplicemente, ad opportunità di lavoro. Col privato e con l’ente pubblico”.

Le pubbliche amministrazioni, però, non devono dotarsene. Non è un controsenso? “No, perché questa funzione di prevenzione ha natura privatistica. Solo le società partecipate, gli enti che stanno sul mercato svolgendo attività privatistiche pur avendo capitale pubblico possono avvalersi di questo strumento”.

Dall’introduzione di questa norma sono passati più di venti anni. Secondo lei che tipo di bilancio si può stilare? A quali miglioramenti concreti ha portato la sua applicazione? “Direi, in termini generali, che ha portato a una crescita delle piccole e medie imprese sotto vari profili. Per esempio quelli di una governance più solida e responsabile. Un organismo di vigilanza indipendente e un sistema di controlli interni, se ben strutturato, permettono ad aziende anche piccole di gestire meglio le risorse e di ridurre il rischio di conflitti interni, a vantaggio dell’efficienza”.

Prima parlava di maggiore competitività. “Le aziende che si dotano di un Modello Organizzativo “ 231” sono, generalmente, percepite come realtà particolarmente affidabili, attente alla prevenzione del rischio legale ed al rispetto delle regole: come tali sono in grado di operare sul mercato con una maggiore credibilità”.

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