Usaid, Trump taglia il 92% dei finanziamenti. Ucraina e Afghanistan i paesi più penalizzati se gli Usa interrompessero gli aiuti per l’estero


Oltre 5.800 sono di USAid, che ne manterrà attivi non più di 500. Altri 4.100 li perderà il Dipartimento di stato, che però continuerà a seguirne 2.700. Il taglio del 92% dei fondi annunciato giovedì dall’amministrazione Trump cala come una cesoia sui progetti di sviluppo finanziati da Washington all’estero, così come su migliaia di posti di lavoro negli Stati Uniti e nei paesi nei quali quei programmi erano stati avviati.

Secondo stime elaborate da Reuters su dati Ocse, tra il 2014 e il 2023 l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale ha erogato o speso 314,3 miliardi sul totale dei 635,2 investiti in sviluppo dai principali paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Ben 31 Stati – la maggior parte in Asia, Oceania e Africa subsahariana – dipendono dagli Stati Uniti per almeno il 25% del totale degli aiuti esteri che ricevono, alcuni superano il 50%. I questo periodo gli Stati Uniti sono stati il paese che ha erogato i maggiori aiuti passando dai 40 miliardi di dollari del 2014 agli oltre 60 del 2023 (il totale a cui ammontano i tagli annunciati giovedì). Il Dipartimento di Stato ha erogato 175 miliardi. Se la maggior parte degli aiuti dell’Agenzia è destinata a interventi sanitari e umanitari, i fondi del Dipartimento di Stato – insieme ai 63,7 miliardi garantiti dalla Difesa – sono rivolti a progetti di “pace e sicurezza”, ovvero militari.

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In assoluto è l’Afghanistan ad aver ricevuto la cifra più alta: 53,1 miliardi, la maggior parte dei quali erogata per programmi di assistenza bellica e di sviluppo. Al secondo posto c’è l’Ucraina con 43,7 miliardi, 25 dei quali erogati per programmi di sviluppo economico.

A differenza di Kabul, Kiev ha ricevuto la maggior parte degli aiuti a partire dall’invasione russa del febbraio 2022. Tra il 2014 e il 2021 il paese aveva ricevuto poco più di 4 miliardi di dollari. Ma dal 2022 la cifra ha toccato i 40 miliardi per tutti i settori. E ora, con gli aiuti congelati, i programmi non militari sono gravemente colpiti poiché molti di essi dipendono dai fondi di Washington. L’eventualità di un blocco totale ha un significato particolare nel momento in cui Trump sta trattando con Volodymyr Zelensky il cosiddetto accordo sulle “terre rare” e il presidente ucraino sta cercando di ottenere garanzie di sicurezza per il proprio paese. Per inciso, il conflitto ucraino e quello afghano sono i più legati al nome del predecessore Joe Biden, il secondo essenzialmente per il modo frettoloso in cui le forze militari Usa lasciarono il paese nel 2021 dopo 20 anni di occupazione.

In Medio Oriente il record è di Israele: 37,7 miliardi di dollari per il programma “Operazioni di stabilizzazione e​ riforma del settore della sicurezza”, ovvero assistenza militare, che tuttavia non sono stati bloccati. Una decisione che non sorprende, dato l’appoggio incondizionato accordato da Trump al governo di Benjamin Netanyahu e a Tel Aviv in generale anche nel corso del suo primo mandato. Così come restano i piedi i progetti dedicati all’Egitto che ha beneficiato di 14,3 miliardi. Se Israele è lo storico alleato nella regione, il Cairo sta svolgendo un ruolo nelle trattative tra Israele e Hamas e potrebbe averne uno se dovesse tradursi in realtà il piano di Trump sulla deportazione dei palestinesi dalla Striscia di Gaza per farne una “Riviera”. Saltano invece i programmi per la Giordania (che ha beneficiato di 18,7 miliardi per tutti i settori, tra cui sviluppo economico, sanità ed educazione di base) e l’Iraq (16,1).

Nel settore “Salute e Assistenza Umanitaria” è stata la regione dell’Africa subsahariana a ricevere gli aiuti più consistenti. Etiopia (13,5 miliardi), Kenya (10,4 ), Sudan del Sud (9,7) e Nigeria (9,5) sono stati i più finanziati in favore di programmi sanitari per l’assistenza ai pazienti affetti da HIV/AIDS e la lotta alla malaria. Fermati con i primi ordini esecutivi immediatamente emessi da Trump dopo l’insediamento alla Casa Bianca, la maggior parte di questi programmi è stata esentata dal blocco dei fondi. Sono stati invece congelati a inizio febbraio i programmi anti-malaria in corso in Kenya e Ghana.

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La politica dei tagli fa proseliti. La strada tracciata da Trump è stata seguita anche da Keir Starmer, tra i più trumpiani dei leader europei, che per reperire fondi da destinare al settore Difesa ha dimezzato il budget previsto per i programmi di cooperazione. In seguito alla decisione del premier del Regno Unito il ministro per lo Sviluppo internazionale, Anneliese Dodds, ha annunciato le sue dimissioni. Con una riduzione di circa 6 miliardi di sterline entro il 2027, ha dichiarato Dodds, sarà ”impossibile” continuare ad aiutare l’Ucraina, la Striscia di Gaza e il Sudan.



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