Un piano industriale per l’Italia e per l’Europa


(AGENPARL) – Roma, 7 Marzo 2025

(AGENPARL) – ven 07 marzo 2025 UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
IL CONTESTO
Il contesto economico europeo è oggi particolarmente complesso. La maggiore
economia UE, quella tedesca, è in recessione da due anni, con incidenze negative su tutti
i territori che sono parte delle stesse catene del valore, a cominciare dal Nord-Italia. Il
contesto geopolitico difficile, tra guerra in Ucraina e Medio Oriente, il ripensare la difesa
europea (proprio in questi giorni la Commissione ha presentato il suo Piano ReArm
Europe), i dazi Usa, la crisi dell’auto (con la Commissione che finalmente ha iniziato a
rivedere quelle norme ideologiche che stanno rischiando di far sparire il settore la
Continente) e l’aumento dei costi energetici stanno mettendo a dura prova l’industria
europea.
In questo quadro, la produzione industriale italiana è in calo da 25 mesi consecutivi.
L’epicentro della crisi è nel settore automobilistico: da febbraio a dicembre 2024, la
produzione di vetture è stata pari a 295mila unità, in calo del 42% rispetto al periodo
precedente. Per trovare numeri inferiori si deve tornare al 1956, quando si produssero
280mila unità. Ma la crisi dell’industria non si ferma al settore automobilistico. Male
anche altri settori, come i macchinari, che registrano un calo del 30% sul 2023. Il calo
complessivo nel 2024, è stato del 3,5%. Nonostante il Pil italiano abbia recuperato il
livello pre-Covid già nel 2023, il valore aggiunto industriale rimane ancora sotto del 2,9%
rispetto al 2019.
Questa crisi rischia di non essere congiunturale, ma di configurarsi come un declino
strutturale dell’industria in Italia e in Europa, con il suo epicentro nell’industria tedesca.
La figura sotto riportata (Banca Mondiale) fotografa il calo della quota manifatturiera
(costruzioni escluse) sul Pil UE. Siamo passati dal 20% di Pil del 1991 al 14,6% del 2023.
Per l’Italia, da poco più del 20% al 15%, mentre la Germania da oltre il 25% al 18,6%.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
La Cina è stabilmente sopra il 25% e gli USA, che hanno vissuto un analogo calo, stanno
invertendo la rotta, re-importando parte della produzione esternalizzata in altri Paesi.
Sono i nostri principali competitori strategici e stanno investendo in modo massiccio in
innovazione, ricerca e sostegno alle imprese anche con un uso massiccio di aiuti di
Stato. Il divario tra gli Stati Uniti e l’UE in termini di Pil è passato dal 17% nel 2002 al 30%
nel 2023. La causa principale di questa situazione è la minore produttività nell’UE, che
porta a una crescita più lenta dei redditi e a una domanda interna più debole.
L’Europa sconta ritardi importanti in termini di produttività, soprattutto rispetto agli Stati
Uniti, riflettendo, da un lato, una minore diffusione di tecnologie ICT tra le aziende e,
dall’altro, una minore intensità di investimenti in R&S da parte delle imprese (1,5% del Pil
per le imprese europee versus 2,8% del Pil per le imprese statunitensi, media 2021-2022,
fonte Eurostat).
L’aumento dei prezzi dell’energia sta indebolendo il nostro tessuto produttivo,
soprattutto nei settori energivori, come acciaio, cemento, ceramica, carta, chimica (di
base e verde) e farmaceutico, penalizzando le PMI che rappresentano una componente
importante del nostro tessuto produttivo. A gennaio 2025, l’energia elettrica in Italia
costa 139 euro mwh in media, da 88 a febbraio 2024, con un rincaro del 57,9% in circa un
anno. In Germania, 108 euro a dicembre, Francia 98, Spagna 111, Usa 61 euro mwh.
L’economia italiana, negli ultimi anni, ha mostrato un’evoluzione migliore rispetto alla
crescita media dell’area euro, di Francia e Germania. Una spinta importante è venuta dai
buoni risultati ottenuti sui mercati internazionali: l’Italia ha realizzato il record di export a
626 miliardi di euro, diventando la quarta economia esportatrice al mondo, con
particolare distinzione delle PMI italiane che ne hanno realizzato più della metà. Tutto
ciò conferma che l’Italia è un attore industriale capace di produrre ed esportare quasi di
tutto. Il Made in Italy è un enorme patrimonio industriale da tutelare e su cui continuare
ad investire.
Il tessuto industriale italiano ha saputo far leva sulla presenza di filiere ramificate a
livello locale e su una diversificazione produttiva elevata e crescente. La nostra industria,
pur soffrendo, ha resistito, con un valore aggiunto per occupato più alto che in
Germania, Francia e Spagna, sia nelle piccole imprese che nelle medie e grandi imprese.
I ritorni degli investimenti in sostenibilità e in tecnologia sono rilevanti. Le imprese
manifatturiere con impianti in fonti di energia rinnovabile nel quadriennio 2019-2022 sono
riuscite a superare meglio di altre la crisi energetica, mostrando una maggiore tenuta
della propria redditività su livelli elevati. Nello stesso periodo, le imprese con investimenti
4.0 hanno registrato una crescita del fatturato doppia rispetto alle altre (+32,5% vs
+16,6%) e, al contempo, un balzo della produttività, con il valore aggiunto per addetto
salito di +13.000 euro (vs +5.000 per le altre).
Nonostante questi progressi, ci sono ampi i margini di miglioramento per il nostro tessuto
economico.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
La stagnazione tedesca, i conflitti e le tensioni geopolitiche, i possibili dazi USA,
minacciano di trascinare l’intero continente in recessione. Il ritmo del progresso
scientifico e tecnologico impone una visione strategica per lo sviluppo economico, per
riforme semplificatorie, che rendano l’UE più efficiente, veloce e competitiva una
rinnovata attenzione alla crescita e all’economia reale. Per recuperare il terreno perduto
con Stati Uniti e Cina serve una rinnovata attenzione alla crescita e all’economia reale e
il rilancio di produttività e innovazione. Diventa vitale invertire il trend negativo, perché
l’industria è il motore che genera innovazione, produttività, occupazione con
miglioramento dei salari. La competitività dell’Europa si basa fortemente sulla sua
industria, che genera 32 milioni di lavoratori diretti e rappresenta il 65% delle attività di
ricerca e innovazione. In pratica, tutti i fattori che decidono lo sviluppo e la crescita
passano dal motore industriale.
E non vi è dubbio che il rilancio della nostra economia passa attraverso il rafforzamento
del Mercato Unico Europeo: dobbiamo ridurre le frammentazioni ancora esistenti ed
eliminare gli ostacoli, specie nei servizi, garantendo condizioni di parità tra Paesi membri.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
IL NOSTRO GROWTH DEAL: UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E L’EUROPA
Per rispondere alla sfida della reindustrializzazione, Forza Italia presenta un Piano
Industriale per l’Italia e per l’Europa per la Crescita e l’Innovazione, un “Growth Deal” e
propone azioni immediate per rafforzare la competitività e la produttività del nostro
sistema produttivo, stimolando gli investimenti in R&S, e quindi la capacità di fare
innovazione, attraverso le seguenti priorità:
Rafforzare e difendere i pilastri italiani del manufatturiero e del Made in Italy
(automotive, food, fashion, furniture, design e tecnologia). Ad esempio, il 70% dei
prodotti di alta moda venduti dai brand francesi è prodotto da mani esperte in Italia.
Questi sono piccoli artigiani che vanno protetti, poiché custodiscono sapienza antica
e pregiata.
Valorizzare i settori industriali strategici per la sicurezza, salute e lo sviluppo sociale
del Paese (come ad esempio il farmaceutico, la difesa, l’aerospazio e l’IT),
caratterizzati da un trend di maggiore crescita del:
valore aggiunto al sistema Paese;
indice di competitività e capacità di sviluppare R&S (nuovi brevetti);
crescita dell’occupazione qualificata;
surplus commerciale;
Attrarre investimenti industriali e produttivi con centri decisionali in Italia e sostenuti
da attività̀ significative di R&S, con particolare attenzione alle aree del Mezzogiorno.
Sviluppare nuove politiche per:
ridurre il costo dell’energia e della dipendenza energetica dai paesi esteri;
ridurre la dipendenza strategica nell’approvvigionamento delle materie prime
da Cina ed India;
potenziare l’attrazione dei capitali finanziari;
garantire lo sviluppo, formazione e retention delle nuove competenze (STEM in
particolare);
ridurre significativamente la burocrazia per le imprese;
garantire una PA e una giustizia efficiente, un fisco collaborante e non
oppressivo;
accelerare la capacità di attrazione degli investimenti in R&S, la capacità di
sviluppare innovazione di prodotto (nuovi brevetti), scalando l’intelligenza
artificiale e i dati digitali;
sviluppare nuove opere e infrastrutture, potenziando la logistica;
sviluppare nuovi mercati di sbocco.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
La manifattura ha bisogno di politiche pubbliche nitide e stabili che ne sostengano i
piani di investimento e i percorsi di sviluppo.
Ha bisogno di credito a tassi ragionevoli, di una tassazione che premi gli investimenti
materiali e intangibili, di costi energetici compatibili con i concorrenti, di infrastrutture,
logistica, competenze, e di una burocrazia non oppressiva. Serve una politica che aiuti le
imprese a produrre a prezzi concorrenziali. Il mondo intero ci chiede il Made in Italy:
dobbiamo essere capaci di produrne a sufficienza e a costi competitivi evitando che il
falso Italian Sounding occupi spazi sempre più crescenti, soprattutto nei settori
dell’agroindustria e della moda.
Forza Italia, da sempre, promuove politiche per garantire maggiore libertà economica,
poiché la libertà e la democrazia sono essenziali per una società equa e inclusiva.
Facciamo nostro l’adagio di Carlo Cipolla, secondo cui “gli italiani sono abituati fin dal
Medioevo a fare, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.
Il nostro obiettivo immediato è arrestare il declino industriale. In cinque anni sono
state perse 59mila aziende manifatturiere. Dal 2008 abbiamo perso 547 mila occupati
nell’industria. Perdendo posti di lavoro perdiamo anche quell’inestimabile tesoro di
conoscenze e saper fare che questi lavoratori qualificati danno al nostro Paese.
Nel medio termine, far crescere la quota di Pil generata dal settore manifatturiero
almeno fino al 20%, livello che riteniamo idoneo a garantire una solida e diffusa base
industriale in Italia (e in Europa). Per recuperare questo livello è necessario rendere più
conveniente produrre in Italia riducendo i costi di produzione su tutto il territorio
nazionale, dando una mano al Nord, al Centro e al Sud, regione quest’ultima che ha
ancora enormi spazi di crescita. Per mettere in equilibrio finanziario il Paese e rendere
sostenibile il rapporto tra debito pubblico e Pil, abbiamo bisogno di aumentare
quest’ultimo (ossia il denominatore) in maniera significativa. Questo può essere
realizzato solo raggiungendo un tasso di occupazione della popolazione attiva almeno
del 70%, e per far ciò occorre che il Mezzogiorno raggiunga almeno il 60% di occupati nei
prossimi 5-7 anni: è per questo che dobbiamo concentrare l’attrazione degli investimenti
produttivi anche nel Mezzogiorno, opportunità di crescita e di riequilibrio del Paese.
Forza Italia intende, dunque, definire e presentare proposte legislative condivise con
la maggioranza del Governo italiano, negli ambiti di seguito indicati, per dare rapida
e concreta attuazione al Piano Industriale per l’Italia e l’Europa con una visione
strategica, pluriennale e di sistema.
Di seguito tratteremo delle strategie industriali di carattere orizzontale, ossia basate
sugli input di produzione, e poi presenteremo quelle verticali, ossia per settore produttivo.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
ENERGIA, SOSTENIBILITÀ ED ECONOMIA
CIRCOLARE
L’Unione Europea conta solo per il 7-8% delle emissioni fossili del pianeta. Sosteniamo la
lotta al cambiamento climatico, ma per avere successo economico ed ecologico,
dobbiamo offrire soluzioni intelligenti, non ideologiche. La nuova politica industriale
europea deve garantire la competitività di tutti i settori; serve un approccio
tecnologicamente aperto e neutro, per garantire che le politiche ambientali non
conducano a un processo di deindustrializzazione.
Se la politica climatica diventa un ostacolo alla competitività e alla crescita e genera
«strappi» al tessuto sociale dovuta ad una iniqua redistribuzione della ricchezza
prodotta, non solo rischia di perdere il sostegno dei cittadini europei, per via dei costi
della transizione energetica per le abitazioni e per le auto, ma anche di aumentare le
emissioni globali, poiché i prodotti verrebbero realizzati in altre regioni del mondo con
emissioni più elevate.
L’Italia si conferma leader europeo nel riciclo e nell’economia circolare, dimostrando che
la sostenibilità può essere motore di sviluppo e innovazione. Il know how che le imprese
italiane hanno acquisito, in anni di investimenti in soluzioni tecnologiche, rappresenta
una importante opportunità da esportare nei Paesi del Mediterraneo, facendo delle
nostre industrie attori protagonisti dello sviluppo della regione anche nell’ambito delle
azioni del Piano Mattei.
La transizione rappresenta una trasformazione epocale dell’economia che richiede
massicci investimenti, incluso un massiccio intervento finanziario europeo, nonchè un
deciso ricorso alla finanza privata.
Le imprese europee scontano in media costi del gas e dell’energia elettrica più alti dei
nostri concorrenti globali. Molte imprese italiane sostengono costi energetici più elevati
rispetto alle concorrenti europee.
La disponibilità di energia ad un livello di prezzi competitivo è una precondizione cruciale
per la crescita e l’occupazione. È fondamentale sfruttare tutte le soluzioni energetiche
disponibili con un approccio tecnologicamente neutro che includa le energie rinnovabili,
il nucleare, l’idrogeno, le bionergie e le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del
carbonio.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Per troppo tempo l’Europa ha usufruito di gas a buon mercato importato attraverso
gasdotto dalla Russia (45% del gas totale in UE) salvo poi comprendere, a partire
dall’avvio della crisi Russia Ucraina, che una parte significativa del sistema
manifatturiero è entrato in forte affanno competitivo a causa della lievitazione dei prezzi
del gas soprattutto nel caso delle tecnologie di processo che utilizzano energia termica
derivante dal gas naturale.
Il mercato del gas naturale europeo ha dovuto dare priorità agli obiettivi di sicurezza
rispetto al sistema dei prezzi di mercato. A partire dal 2023 e nel 2024 con gli importanti
investimenti degli Stati Membri in sistemi di rigassificazione, il rischio sicurezza si è
progressivamente ridotto. Tuttavia, il mercato italiano del gas naturale continua a
registrare nel 2024 un differenziale rispetto al prezzo dei mercati europei di oltre 2
€/MWh (recentemente anche 3-4 euro/MWh) che determinano sulla bolletta degli
italiani un ingiustificato aggravio di costi di oltre 1,3 miliardi di euro. Per questo riteniamo
che sia necessario intervenire – possibilmente con meccanismi di mercato – per evitare
che flussi di gas da nord per quantitativi marginali determinino una rendita
inframarginale per tutti i volumi importati da sud e mediante rigassificatori con un rialzo
ingiustificato dei prezzi a scapito di tutti i consumi dei cittadini e imprese italiani.
Riteniamo inoltre che l’Italia debba riconsiderare gli accordi bilaterali con gli Stati Uniti
siglati a partire dal marzo 2022. Nell’ultimo anno il sostegno americano per quasi 50
Mld/Smc di gas naturale destinato all’Europa è stato uno strumento utile di aiuto che
purtroppo si è trasformato in un ingiustificato strumento speculativo nelle mani di pochi
operatori. Gas naturale acquistato negli Stati Uniti per valori, nel 2024, mediamente al di
sotto dei 9 €/MWh, con un costo di logistica verso i porti europei nell’intorno dei 10
€/MWh, veniva venduto a prezzi TTF che nel 2024 si è attestato mediamente a poco
oltre 34 €/MWh, generando un margine medio di oltre l’80%. In questa fase geopolitica
non possiamo accettare questo per i cittadini e le imprese italiane ed europee per questo
riteniamo che sia necessario intervenire e chiedere di valutare delle misure coordinate a
livello europeo per la sicurezza di forniture stabili ed al minimo costo.
Un’azione specifica di intervento si rende necessaria per i settori gasivori che nel nostro
Paese non possono nel breve termine sostituire il gas con il vettore elettrico o con
l’idrogeno ancora poco disponibile e poco conveniente. E’ necessario intervenire con
misure tempestive di riduzione dei costi per questi settori industriali. Sono possibili
diverse misure. A noi italiani non difetta la creatività nel concepirle, nel rispetto dei
trattati e della normativa europea. Tra queste, ad esempio, una misura potrebbe essere
finanziata in analogia a come avviene con misure per il settore elettrico (cfr energy
release) da apposite componenti parafiscali finanziate dalla riduzione del differenziale
del prezzo italiano rispetto al TTF, compatibilmente con la normativa europea sugli Aiuti
di Stato. Attualmente con una riduzione prudenziale dello spread di 2 €/MWh sarebbe
possibile prevedere un abbattimento di costo di circa 20 €/MWh per questi settori a
fronte di impegni «incrementali» di investimento nello sviluppo di biometano ed
idrogeno.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Un ulteriore tema rilevante raccomandato dal Consiglio Europeo del maggio 2022
riguarda gli impegni degli stati membri ad ottimizzare l’utilizzo delle riserve continentali
di gas naturale. Secondo i dati del Governo (UNMIG) le riserve certe di gas nazionale
certe ammontano a circa 37 Mld di metri cubi: una riserva importante che viene sprecata
a scapito delle importazioni. Su questo fronte riteniamo necessario un’azione per
superare le criticità amministrative e pervenire rapidamente ad un nuovo PiTeSAI che
consenta di valorizzare le riserve nazionali sia per gli obiettivi di sicurezza che per gli
obiettivi di riduzione dei costi di approvvigionamento.
Il rilancio della produzione nazionale di gas complementa l’azione del Governo che ha
adottato un importante programma di potenziamento delle infrastrutture (2
rigassificatori e il potenziamento di TAP), che unitamente all’elevato grado di
diversificazione delle fonti, consentirà all’Italia, grazie alle caratteristiche del suo
mercato e alla sua posizione geografica centrale nel Mediterraneo, di divenire un hub
europeo energetico, con evidenti vantaggi per i consumatori finali e per la competitività
del nostro sistema industriale. Tutto ciò trova conferma anche nel progetto
SouthH2Corridor, con il quale l’Italia si è recentemente impegnata con Algeria, Tunisia,
Austria e Germania, per realizzare una infrastruttura in grado di portare l’idrogeno
prodotto nei paesi del Nord Africa, alle industrie e famiglie italiane, austriache e
tedesche.
Il prezzo del gas naturale determina in modo significativo il prezzo dell’energia elettrica,
vettore energetico centrale per il processo di decarbonizzazione del sistema economico.
Il nostro Paese sconta un differenziale di prezzo all’ingrosso elettrico rispetto alla media
degli altri Paesi UE di oltre il 40%. Per colmare questo GAP è necessario accelerare sullo
sviluppo di un mercato in grado di trasferire al consumatore finale e al sistema delle
imprese i minori costi della produzione rinnovabile adottando misure concrete per
evitare che il prezzo elettrico sia prevalentemente determinato dagli impianti a gas.
Bisogna effettuare rapidamente un allentamento del legame tra il prezzo elettrico da
rinnovabili e quello da gas attraverso l’accelerazione della riforma del mercato elettrico
come richiesto dal nuovo regolamento europeo Electricity Market Design. Su questo
fronte devono essere accelerate le misure per sviluppare il mercato dei Power Purchase
Agreement (PPA) privato-privato assistito eventualmente da un sistema di garanzie
statali e stabilizzate le misure che consentono allo Stato di alimentare una adeguata
liquidità del nuovo mercato.
Riteniamo che sia prioritario, per garantire efficienza e competitività nel mercato elettrico
l’attività di permitting degli impianti di produzione rinnovabile rafforzando
l’accelerazione impressa dal Governo, che ha ad oggi autorizzato impianti di accumulo
elettrochimico per circa 3900 MW di potenza ed ha in corso oltre 330 procedimenti, per
una potenza complessiva di oltre 37 GW. Lo sviluppo della generazione rinnovabile non
deve essere visto solo come un impegno del Governo Nazionale rispetto all’Europa ma
deve essere un impegno condiviso di tutte le amministrazioni in Italia.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
La vischiosità dei processi autorizzativi, nonostante i recenti progressi, ha determinato
delle profonde inefficienze sul costo dello sviluppo delle rinnovabili sia in termini di costi
finanziari sia in termini di “rendite improduttive” dettate dalla scarsità delle aree. Non
vanno poi trascurati i problemi autorizzativi che riguardano le infrastrutture abilitanti. Sul
fronte delle autorizzazioni vogliamo promuovere rapidamente un confronto che deve
portare ad un quadro di impegno condiviso tra Governo, Regioni ed Enti locali in
relazione agli impegni sottoscritti a Bruxelles. Non è più accettabile l’incoerenza tra la
decarbonizzazione da tutti proclamata ed i veti che impediscono l’uso delle arre
disponibili causando per famiglie e imprese gravi inefficienza. Nel settore energetico
servono produzioni di scala rilevanti per essere competitivi ovvero disponibilità di aree
idonee allo sviluppo di grandi impianti.
La nuova struttura di generazione del mercato elettrico richiederà alti costi
infrastrutturali che interesseranno l’attività di trasmissione e distribuzione elettrica al fine
di garantire la sicurezza e la gestione efficiente dei flussi di energia green tra i siti
produttivi ed i centri di consumo ma anche la semplice raccolta di energia rinnovabile
diffusa sul territorio attraverso le reti di distribuzione. Tra le infrastrutture pubbliche,
concessioni di rilevanza regionale, troviamo anche la produzione idroelettrica che vale il
30% della produzione nazionale di energia rinnovabile. Il sistema infrastrutturale –
considerando anche le prospettive di elettrificazione del settore dei trasporti – deve
essere ricondotto ad un quadro di regolamentazione economica in grado di promuovere
un quadro certo di remunerazione sugli investimenti a fronte di obiettivi precisi di
efficienza e qualità del servizio in relazione ai fabbisogni di utilizzo settoriale. I criteri di
allocazione dei costi delle attività regolamentate devono essere riconsiderati anche
come strumento per promuovere il comportamento degli utenti in relazione allo sviluppo
delle tecnologie (rinnovabili, servizi ancillari per la sicurezza, etc) e dei comportamenti di
consumo (ad esempio investimenti incrementali hard to abate) funzionali agli obiettivi di
decarbonizzazione del sistema. Con riferimento al settore idroelettrico la
regolamentazione regionale dei rinnovi delle concessioni se, da una parte, deve
correttamente considerare una rimodulazione della durata della concessione funzionale
al rilancio degli investimenti dall’altro dovrebbe garantire una parte di energia per
attrarre nuovi investimenti sul territorio per la decarbonizzazione o il reimpiego dei
canoni di concessione per promuovere la competitività industriale dei territori.
Riteniamo che ai fini degli obiettivi di decarbonizzazione del settore elettrico l’opzione
nucleare vada perseguita con un programma strutturale per la produzione
elettronucleare di nuova generazione assieme alla produzione di calore per i distretti
industriali. Le competenze della filiera nucleare italiana sono notevoli ed il nostro Paese
deve riprendere il percorso di sviluppo all’interno di una cooperazione comunitaria per lo
sviluppo degli Small Modular Reactor (SMR), gli Advanced Modular Reactor (AMR) e i
reattori nucleari di quarta generazione con particolare attenzione ai Lead-cooled Fast
Reactor (LFR).
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Il Sistema Europeo di Scambio di Emissioni (Emission Trading System o ETS) è un
sistema di mercato per incentivare maggiore efficienza e ridurre le emissioni di carbonio
ma occorre fare una riflessione sulla reciprocità con i paesi extra-europei.
In passato, il meccanismo Emission Trading System ha contemplato la possibilità di
rilasciare quote gratuite di CO2 a determinati settori. Più recentemente per sei settori
questo meccanismo è stato affiancato dal CBAM (Carbon Border Adjustment
Mechanism) ovvero un meccanismo che introduce una “tassa” (ancorata ai prezzi
europei della CO2) sul contenuto di carbonio dei beni importati. A fronte di questa
ulteriore protezione viene ridotto il rilascio delle quote gratuite. Riteniamo che questo
meccanismo e più in generale l’ETS, per il loro impatto sui settori di base del sistema
economico, richiedano un adeguato approfondimento per garantire un approccio
calibrato. A tal fine, merita osservare che: (i) per i settori sottoposti al meccanismo ETS
(power, industry), di fatto, gli obiettivi di neutralità climatica al 2050 sono anticipati al
2040, ma questo introduce una contraddizione per i settori hard to abate che dovrebbero
invece disporre di un abbattimento delle emissioni a zero entro il 2050; (ii) l’Italia è un
Paese con un importante bilancia commerciale positiva di prodotti di trasformazione
manifatturiera. In assenza di reciprocità in termini di misure economiche sulle emissioni,
l’introduzione del CBAM (in sostituzione delle quote gratuite) potrebbe minare la
competitività del nostro export. Va quindi valutato attentamente il mantenimento delle
quote gratuite per un periodo più ampio quale misura di dumping ambientale; (iii)
l’eventuale sostituzione delle quote gratuite con meccanismi di tipo CBAM richiede
un’estensione più ampia del meccanismo ai prodotti downstream o ai prodotti compositi
(ad esempio che usano acciaio). Questo, tuttavia, deve essere valutato considerando il
costo di implementazione della misura per le difficoltà di misurare il contenuto emissivo
dei beni (c.d. prodotti “lunghi” in termini di costruzione, assemblaggio, spedizione). Inoltre,
è necessario introdurre un meccanismo di export rebate per le esportazioni italiane in
paesi Extra UE che non adottano adeguati meccanismi economici di contenimento delle
emissioni.
Inoltre, l’imposizione di un costo aggiuntivo all’importazione di prodotti a maggiore
contenuto di CO2 su alcune materie prime, come ad esempio acciaio e alluminio, porterà
queste materie prime ad essere più costose.
Se non si interviene, quindi, verranno rese meno competitive le industrie manifatturiere di
trasformazione rispetto alle concorrenti extra europee che non hanno un costo della
CO2 nelle loro materie prime pari a quelle europee; i prodotti finiti del Made in Italy
rischiano di perdere competitività e le nostre industrie di trasformazione saranno
incentivate a delocalizzare i loro prodotti nei paesi che non colpiscono le materie prime
con meccanismi tipo CBAM.
Per evitare ciò, proponiamo di rivedere l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2026 (per le
importazioni già dall’ultimo trimestre 2025) del CBAM e dall’altro prevedere l’estensione
della tassa ai prodotti finiti extraeuropei fatti con le materie prime ad alto impatto di
CO2. In ogni caso va sostenuto il gap di competitività degli esportatori con un preciso
piano di incentivi.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
LAVORO E FORMAZIONE
Per mantenere margini di profitto in un mercato sempre più concorrenziale, è
fondamentale ridurre i costi di produzione. Quelli che incidono di più sulla capacità
competitiva delle imprese italiane, sono il costo del personale, che rappresenta circa il
32% dei costi totali, influenzato significativamente dagli oneri sociali, e i costi dell’energia.
Abbiamo ridotto il cuneo fiscale. Dobbiamo continuare su questa strada, bilancio
pubblico permettendo, visto che resta ancora alto: con 45,1 punti percentuali è dietro a
Germania (47,9%) e Francia (46,8%), ma davanti alla Spagna (40,02%), con una media
OCSE del 34,8%. Di 45,1 punti, 24 sono i contributi a carico del datore di lavoro e 4,3 quelli
a carico del lavoratore, mentre 16,8 sono le imposte sul reddito. Ci sono, dunque, spazi di
azione.
Senza impatti sul gettito dello Stato, senza mettere a repentaglio le prestazioni
pensionistiche dei lavoratori, rivedendo le contribuzioni INAIL e quelle per la cassa
integrazione e abolendo la CUAF, si genererebbe una riduzione del carico impositivo per
le imprese di circa 6 miliardi l’anno (pari a quasi 3 punti percentuali di IRES).
Con riguardo ai lavoratori, investire sulle competenze è fondamentale in un contesto in
cui le imprese non riescono a reperire personale specializzato e qualificato. Circa il 70%
delle imprese italiane oggi dichiara di riscontrare difficoltà di reperimento. Proponiamo
la creazione di Poli Universitari tecnologici attraverso 1 miliardo extra per 3 anni per
sostegni pubblici a Università e Politecnici per ricerca applicata in fisica, chimica,
biotecnologia, farmaceutica, ingegneria meccanica, navale, aeronautica e spaziale,
robotica. Gli atenei dovranno collaborare con imprese italiane aventi produzione e mano
d’opera almeno al 80% in Italia. Puntiamo sulla contaminazione tra scuole, imprese e
lavoro rafforzando le scuole professionali e gli ITS. Le Università devono collegarsi in
modo strutturale al mondo del lavoro. Vogliamo favorire il sistema duale,
l’apprendistato, il trasferimento tecnologico e la realizzazione di prototipi e brevetti.
Negli ultimi vent’anni abbiamo perso 2 milioni di occupati under 35, finora compensati
dall’aumento degli over 50. Anche per questo abbiamo bisogno di un vero e proprio
piano di attrazione di investimenti produttivi qualificati, “fabbriche intelligenti”, ove si
concentrino funzioni manageriali e attività di R&S: centri di attrazione di lavoro ad alto
valore aggiunto come spesso è quello giovanile altamente formato. Tutto ciò deve
riguardare l’intero territorio nazionale ma ancor di più le aree del Mezzogiorno che pur
avendo disponibilità di manodopera registrano un vero e proprio esodo giovanile: con un
piano di investimenti qualificati e interventi di riforma per la riqualificazione del territorio
aumenterebbero i casi di imprese meridionali di eccellenza a vocazione internazionale.
Se non aumenta l’occupazione giovanile e femminile, convergendo nei prossimi dieci
anni ai livelli medi europei, perderemo qualsiasi prospettiva di sviluppo e sostenibilità
sociale, avviandoci su un percorso di declino e squilibri crescenti nel medio-lungo
periodo. Questo è una situazione analoga ad altri Paesi europei, e non solo, ma
accentuata nel nostro. Una politica migratoria mirata sarebbe funzionale a questo serio
problema. Abbiamo bisogno di un rinnovato sguardo alla responsabilità e la formazione
resta elemento chiave di responsabilità intergenerazionale.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
RICERCA E INNOVAZIONE
L’innovazione è uno dei temi prioritari identificati dal Competitiveness Compass che ha
delineato l’agenda della Commissione per il rafforzamento della competitività in
un’ottica di technology foresight. L’Unione europea deve aumentare il proprio tasso di
innovazione per mantenere la propria autonomia strategica competitiva, in uno scenario
internazionale sempre più complesso, dove la sovranità tecnologica statunitense è
minacciata in molti settori strategici dal know-how cinese.
Nella media del biennio 2021-22 (ultimi dati disponibili per la comparazione), le spese in
R&S sono state pari al 3,5% del Pil negli USA (di cui il 2,8% effettuate dal settore privato) e
del 2,5% in Cina (1,9% le imprese), dati superiori alla media UE27, ferma al 2,3% del Pil, di
cui solo l’1,5% è effettuato dalle imprese.
Le imprese europee non solo investono meno in R&S, ma sono concentrate su settori a
media tecnologia (come ad esempio automotive, meccanica ed elettrotecnica), che
garantiscono ritorni di crescita più contenuti rispetto ai settori ad alta tecnologia (es.
aerospazio, farmaceutica, elettronica, software, biomedicale), dove la ricerca di frontiera
permette di ottenere maggiori vantaggi competitivi. Nel 2022, le 3 principali imprese
statunitensi, in termini di investimenti in R&S, erano attive nel software (Alphabet, Meta,
Microsoft), mentre nel 2003 gli attori principali erano specializzati nel settore
dell’automotive e della farmaceutica. In Europa, invece, si osserva una maggiore
stabilità, con una prevalenza di imprese più attive sul fronte dell’innovazione nel settore
dell’automotive sia nel 2003 che nel 2022.
Dobbiamo stimolare la ricerca scientifica e diventare leader nell’innovazione
tecnologica, nell’E-Health e nelle biotecnologie. In tale prospettiva, di assoluto rilievo è il
lavoro del Tavolo per l’Internazionalizzazione delle Industrie nel Settore delle
Biotecnologie, costituito dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale, d’intesa con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e con il
coinvolgimento del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Il settore delle biotecnologie è alla base dello sviluppo di molti prodotti, materiali e
tecnologie con applicazioni in vari settori, dalla medicina all’agricoltura, dall’industria
all’ambiente anche attraverso la creazione di un ecosistema di dati efficiente.
L’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo nella competizione globale tra i Paesi leader
in campo biotecnologico, al fine di poter crescere nei settori determinanti per il futuro
sviluppo socioeconomico sostenibile e per la sicurezza nazionale. Sostenere le
biotecnologie industriali strategiche significa mantenere in Italia gli asset strategici. Per
questo è rilevante il reshoring al fine di garantire le catene di approvvigionamento.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Anche nel campo delle tecnologie quantistiche l’Italia può ambire a divenire leader in
Europa. Il Paese dispone, infatti, di una forte competenza accademica e industriale, con
istituti di ricerca e aziende attive in tutti gli ambiti: calcolo, simulazione, comunicazione,
metrologia e sensoristica. Le aziende italiane sono avanti nella comunicazione e nella
sensoristica, mentre il settore del calcolo e simulazione necessita di maggiori
investimenti.
I finanziamenti pubblici nelle TQ, pari a 227,4 milioni di euro (2021-2024), hanno
rappresentato un primo passo importante per lo sviluppo dell’ecosistema italiano, ma
risultano ancora inferiori rispetto a quelli stanziati dai principali Stati membri Ue e da
concorrenti internazionali. Per tale ragione, al pari di altri Paesi tecnologicamente
avanzati, l’Italia si sta dotando di una strategia nazionale sulle tecnologie quantistiche
che potrà guidarne lo sviluppo lungo degli assi di ricerca e innovazione prioritari.
La strategia nazionale metterà a sistema le risorse esistenti e disponibili, per valorizzare i
risultati emersi e continuare a investire sui punti di forza identificati, così da capitalizzare
le opportunità e rafforzare il ruolo dell’Italia nel contesto Europeo ed internazionale. La
strategia è stata redatta da un Gruppo di Lavoro composto da esperti della comunità
scientifica e da rappresentanti del Ministero dell’Università e della Ricerca, del
Dipartimento per la Transizione Digitale, dell’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza,
del Ministero per le Imprese e il Made in Italy, e del Ministero della Difesa affinché gli
interessi dei diversi stakeholder pubblici e privati fossero debitamente rappresentati.
La regolamentazione deve incentivare i nostri settori industriali verso l’innovazione con
strumenti agili ed adeguati. Inoltre, per favorire lo sviluppo di nuovi settori è importante
sostenere le start-up innovative. Sul punto merita ricordare che secondo i dati
dell’apposito Registro presso le Camere di Commercio, a fine 2024 sono oltre 12.000 le
start-up innovative, con una crescita sostenuta in particolare negli ultimi anni che hanno
visto la creazione di circa 2.000 nuove imprese all’anno. Spicca il contributo delle startup innovative nel settore dei servizi ICT, che da sole rappresentano più del 50% del
totale, focalizzate su un ampio spettro di tecnologie avanzate, dalle soluzioni digitali,
all’Internet of Things, passando per l’Intelligenza Artificiale.
Da sottolineare, inoltre, come nel tempo sia aumentata la quota di start-up innovative
gestite prevalentemente da under 35, passata dall’8,3% del periodo 2025-2019 al 19,2%
del quadriennio 2020-24: è un dato importante che segnala come il supporto alla
nascita e allo sviluppo di nuove imprese innovative possa costituire una grande
opportunità anche per trattenere i giovani laureati. Tra il 2013 ed il 2022 il saldo
migratorio con l’estero per i laureati italiani con meno di 40 anni è stato pari a -120mila
soggetti, provenienti in particolare dalle regioni del Mezzogiorno.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Dato questo stato dell’arte, per rafforzare il posizionamento dell’Italia è necessario
individuare azioni mirate a potenziare la ricerca e l’innovazione, migliorare l’accesso alle
infrastrutture e stimolare investimenti privati. Oltre al finanziamento della ricerca di base,
la creazione di reti di collaborazione tra pubblico e privato è ritenuta cruciale per
promuovere la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico, mentre il consolidamento
di laboratori nazionali in cui aziende e istituzioni di ricerca possano lavorare
congiuntamente permetterà di sviluppare nuove soluzioni industriali. Inoltre, la creazione
di programmi di formazione avanzati e di dottorati industriali contribuirà alla crescita
della forza lavoro specializzata, un aspetto essenziale per l’espansione del settore delle
tecnologie critiche.
Sul fronte delle applicazioni industriali, l’Italia deve favorire lo sviluppo di start-up e
incentivare investimenti nelle tecnologie critiche attraverso strumenti finanziari
specifici, come fondi di venture capital dedicati. Inoltre, l’introduzione di incentivi
fiscali per le aziende che investono nel settore potrebbe stimolare ulteriormente la
crescita. La standardizzazione e la certificazione delle tecnologie critiche rappresenta
un altro elemento chiave, poiché garantisce la sicurezza e l’interoperabilità delle
soluzioni sviluppate, rafforzando la competitività delle imprese italiane a livello
globale.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
FISCO
Nella costruzione della casa comune europea, Forza Italia si adopererà per la
realizzazione di una compiuta fiscalità comune europea: obiettivo necessario e sempre
più urgente non solo per la creazione di un debito comune capace di finanziare i beni
pubblici europei, ma anche e soprattutto per rinsaldare l’unità europea. A livello
nazionale, le azioni da avviare in campo fiscale devono muoversi in più direzioni: ridurre
strutturalmente i costi di produzione, semplificare la burocrazia e favorire la
patrimonializzazione delle imprese anche incentivando le aggregazioni delle piccole e
medie imprese.
In Italia il carico impositivo complessivo (imposte ed oneri sociali) delle imprese è del
59,1%, contro una media UE del 40%. Di questo, la tassazione effettiva è del 21,2% (vicina
alla media degli altri grandi Paesi Ue). Il resto sono oneri sociali che pesano molto di più
che nel resto dell’UE. Pertanto, la riduzione del carico impositivo deve iniziare dalla
riduzione dei costi di approvvigionamento e da una drastica riduzione degli oneri
amministrativi e di compliance.
Il nostro sistema tributario è ormai ingolfato da misure, anche di natura agevolativa,
dall’orizzonte temporale breve, a volte non coordinate e ripetitive, con meccanismi
applicativi complicati che talvolta rischiano di disorientare e allontanare gli operatori,
anziché sostenerli. Concentrare le misure agevolative su pochi obiettivi e con strumenti
efficaci, di facile fruizione, unitamente a piano nazionale di semplificazione,
consentirebbe di liberare il potenziale delle imprese, permettendo un uso più efficiente
delle risorse verso le produzioni più redditizie, favorendo l’aggregazione di PMI per
crescere e competere.
Per avere una concorrenza sana e poter abbassare le tasse serve anche recuperare
l’evasione e ridurre gli sprechi con un fisco giusto, equo, efficiente e funzionale.
Dobbiamo intervenire sulla differenza tra evasione accertata e quella recuperata che è
del 20%.
La politica fiscale deve far sì che l’Italia torni ad essere protagonista di una nuova
stagione di attrazione di investimenti, dobbiamo garantire certezza agli investitori, creare
condizioni di contesto adeguate, eliminare i differenziali nei costi di produzione rispetto ai
nostri competitor, favorire la creazione di aziende di maggiori dimensioni. Questo perché
la stabilità e la competitività del nostro tessuto economico passano anche dal
rafforzamento patrimoniale delle imprese, specie le PMI, che rappresentano il cuore
dell’economia italiana. Analoghe riflessioni valgono per le strutture professionali. In
questo quadro, dobbiamo incentivare le aggregazioni delle PMI (ad esempio con
fatturato non superiore a 20 milioni di euro) poiché garantiscono benefici in termini di
economie di scala, maggiore competitività, accesso a nuovi mercati, oltre che a una
maggiore e più solida patrimonializzazione.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Non è possibile avere oltre cento tributi, a fronte di un gettito fiscale che proviene per il
97% solo da 16 tasse. Un’impresa impiega fino a 312 ore all’anno per documenti
amministrativi e pratiche fiscali. Oggi servono oltre 1.000 giorni per tutti i gradi di giudizio
dei contenziosi, dove la media UE è di 302 giorni. La giustizia lenta ci costa fino al 2% di
Pil. Oggi la certezza del diritto e i tempi decisionali in una competizione internazionale
diventano fattori determinanti.
Vogliamo avviare un confronto con le associazioni di categoria e gli ordini professionali
per individuare proposte che, a costo zero, possano ridurre la questa “pressione fiscale
occulta” che attanaglia le imprese. La semplificazione deve riguardare non solo gli
adempimenti ma anche la struttura del prelievo, con il duplice obiettivo di (i) concentrare
le risorse sugli interventi più efficaci, ai fini della crescita e della competitività
dell’industria italiana e del sistema Paese nel suo complesso (ii) rendere più fruibile il
sistema delle agevolazioni fiscali esistenti, oggi troppo parcellizzate, poco intellegibili, e
spesso soffocate da meccanismi applicativi complessi.
Occorre implementare sistemi valutazione delle politiche pubbliche con analisi
costi/benefici che consentano l’efficiente allocazione di risorse tendenzialmente scarse
a sostegno degli investimenti in ricerca e innovazione, sanità, giovani, previdenza,
patrimonializzazione.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
FINANZA E MERCATO DEI CAPITALI
Serve completare il Mercato Unico dei Capitali e l’Unione bancaria. Solo in questo modo
avremo la possibilità di finanziare le imprese a costi competitivi, sia nelle fasi di start-up
che in quelle di sviluppo e maturazione.
Il prossimo piano d’azione per l’Unione del risparmio e degli investimenti della
Commissione europea deve creare le condizioni affinché il risparmio europeo, che è
abbondante, non vada a finanziare altre economie (300 miliardi all’anno di risparmio UE
vanno negli USA), ma restino in Europa e finanzino le nostre imprese. Per questo servono
venture capital, fondi di investimento in equity, mercato assicurativo e fondi pensione.
Inoltre, proponiamo di alzare il fattore di sostegno alle PMI. La normativa UE prudenziale
delle banche (CRR) prevede una correzione dei requisiti di capitale per le banche che
erogano credito a PMI. Tale correzione, nota come SMEs supporting factor, fu introdotta
nel 2014 per crediti bancari fino a 1,5 milioni e successivamente ampliata fino a 2,5
milioni. In questa fase economica, in cui sono necessari maggiori investimenti, Forza
Italia propone di rivedere la norma europea CRR per incrementare ulteriormente il
fattore di sostegno alle PMI portandolo da 2,5 a 5,0 milioni di fido per singola PMI.
Questo per sostenere il credito alle PMI, e senza costi per la spesa pubblica tanto
europea quanto nazionale. Il risparmio paziente e che produce utilità sociale deve avere
una tassazione minore. Riteniamo utile una tassazione ridotta al 12,50% per plusvalenze
su titoli azionari e obbligazionari emessi da emittenti italiani quotati e detenuti
ininterrottamente da persone fisiche per almeno 5 anni (capitale paziente), per importi
investiti fino a 250.000 euro pro capite. Favorire l’investimento di Fondi Pensione e Casse
di Previdenza nel sistema produttivo domestico e in particolare delle PMI, introducendo
l’obbligo per tali soggetti di investire almeno il 5-10% in asset alternativi (es: fondi di
Private equity, private debt, venture capital). Al contempo, occorre promuovere un
processo di consolidamento del sistema dei fondi pensione.
Dobbiamo semplificare l’accesso e la permanenza sul mercato dei capitali italiani.
Rendere permanenti gli incentivi fiscali per le piccole imprese che si quotano e fiscalità di
vantaggio per le imprese che si quotano o emettono strumenti di debito quotati come
premio alla trasparenza e relativi oneri sostenuti. E continuare a rafforzare il patrimonio
delle imprese.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
PIANO DI DEREGOLAMENTAZIONE
Insieme al Partito Popolare Europeo, riteniamo che il 2025 debba essere l’anno delle
decisioni coraggiose per un’Europa competitiva e sicura. L’UE è una potenza globale e
deve usare il suo peso per garantire che i produttori e i consumatori, gli imprenditori, gli
agricoltori e i lavoratori europei siano protetti dalla concorrenza internazionale sleale.
Riteniamo pericolosa l’iper-regolamentazione UE. Ancor più se accoppiata al
revanscismo anti-industriale. Vogliamo ridurre l’eccessiva burocrazia UE chiedendo
l’applicazione del principio “una regola dentro – due fuori” e realizzare uno sportello
unico per le imprese per ridurre i costi di rendicontazione. Piccole misure non aiuteranno
le nostre imprese a sopravvivere alla concorrenza. Servono misure forti e
immediatamente attuabili per ridurre la burocrazia in tutti i settori e per tutte le imprese.
Chiediamo di rafforzare la piattaforma REFIT, i reality checks per testare i regolamenti
esistenti e futuri con le imprese con un test di competitività, il coordinamento digitale del
processo legislativo, le riforme del Semestre europeo e l’impegno, per ogni Commissario,
a ridurre del 25% gli obblighi di rendicontazione e del 35% per le PMI.
La Commissione Europea, con il Regolamento Omnibus recentemente approvato, ha
avviato la cosiddetta “rivoluzione della semplificazione” con l’obiettivo di snellire il
crescente numero di obblighi di rendicontazione a cui le imprese devono far fronte, in
particolare per la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la Corporate
Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D) e la classificazione della
sostenibilità di prodotti e servizi (Regolamento sulla Tassonomia UE). Alzare le soglie di
applicazione alle imprese sopra i 1.000 dipendenti va nella direzione da noi auspicata.
Ma bisogna fare di più.
Per questo, chiediamo alla Commissione di perseguire una semplificazione massima,
anziché minima. Le imprese non sono attualmente in grado di attuare queste normative
e serve una tempistica più realistica. Tali normative, infatti, si stanno dimostrando
eccessive e gravose, con significativi effetti negativi a cascata per le PMI europee.
L’attuale situazione economica non consente l’immediata implementazione di queste
direttive. È necessaria una revisione completa, che richiederà tempo. Fino a quando non
sarà definito un quadro normativo chiaro e aggiornato alle reali esigenze delle imprese,
l’entrata in vigore del regolamento dovrebbe essere posticipata, idealmente fino al 2028.
L’economia è in contrazione, rendendo ancora più difficile per le imprese sostenere nuovi
oneri normativi. Rinviare l’attuazione sarebbe un segnale forte e positivo per gli
imprenditori, dando loro fiducia e la flessibilità necessaria.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Pur sostenendo pienamente l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, dove tutte
le imprese dovranno raggiungere la neutralità attraverso una combinazione dell’80% di
energie rinnovabili e del 20% di meccanismi di compensazione delle emissioni, riteniamo
che il processo di transizione non debba essere suddiviso in rigidi passaggi normativi che
limitano la libertà economica. Le imprese devono avere la flessibilità di determinare il
proprio percorso per raggiungere l’obiettivo del 2050. Il principio chiave dovrebbe essere:
se un’azienda non è climaticamente neutra entro il 2051, non dovrebbe essere
autorizzata a operare sul mercato.
Anche a livello nazionale il quadro non è confortante, poiché avviare un’impresa in Italia
non è semplice e le restrizioni burocratiche sono il principale elemento che “ingolfa” le
scelte imprenditoriali, in tutti i campi. Le riforme che stiamo portando avanti su PA, fisco
e giustizia hanno lo scopo di favorire un ambiente imprenditoriale più dinamico e
competitivo, permettendo alle aziende di adattarsi rapidamente alle sfide del mercato.
Occorre far di tutto per affrancarsi dall’incertezza regolamentare che scoraggia
l’iniziativa economica. Un esempio concreto riguarda la complessità del credito di
imposta Transizione 5.0. La revisione apportata con la Legge di Bilancio 2025 introduce
rilevanti semplificazioni procedurali, potenzia l’intensità dell’agevolazione e rende
cumulabili i crediti di imposta 5.0 con altri incentivi previsti nell’ambito dei programmi e
degli strumenti dell’Unione europea. Tuttavia, l’impatto ha grandi spazi di intervento
economico da utilizzare considerando che le domande presentate dalle imprese sono
ancora pari ad appena 300 milioni su 6,3 miliardi di risorse disponibili. Occorre allungare
la scadenza o consentire l’accesso al credito di imposta anche agli investimenti non
completati entro quella data.
Un altro esempio, nel campo della logistica, riguarda l’attivazione dello Sportello Unico
Doganale e dei Controlli (SUDOCO) necessario per sdoganare in via digitale la merce,
con controlli delle varie Amministrazioni concentrati in un’unica sede. Sempre in tale
ambito, si deve puntare al full digital e alla dematerializzazione dei documenti, come
l’attuazione dell’e-CMR e della piattaforma e-FTI, con incentivi a investimenti digitali di
imprese e pubbliche amministrazioni, per ottimizzare e rendere più efficiente la filiera
logistica, garantendo interoperabilità e compliance tra sistemi.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
LOGISTICA, TRASPORTI E INFRASTRUTTURE
Il sistema di mobilità delle merci è fondamentale per la nostra competitività industriale,
per la produzione, lo scambio e il consumo di beni e servizi, dal livello globale a quello
locale.
La logistica sta vivendo alcuni cambiamenti che ne stanno modificando l’assetto e il
funzionamento, come le catene di approvvigionamento, la rilocalizzazione della
produzione, le dipendenze strategiche, la ricerca di nuovi e più sicuri partenariati
economici, a fronte di maggiori restrizioni commerciali, che possono degenerare verso
una vera e propria guerra dei dazi.
Il nostro sistema dei trasporti e della logistica si è finora dimostrato nel suo complesso
abbastanza resiliente nel mantenere la continuità degli scambi; meno riguardo a costi,
qualità e affidabilità del servizio. Sussiste inoltre un tema di “fragilità logistica” europea e
nazionale, che richiede importanti programmi di manutenzione straordinaria e di rinnovo
delle infrastrutture.
Inoltre, come accennato nella sezione dedicata al settore auto, non sono stati
adeguatamente valutati (a livello europeo e nazionale) i costi di investimento e di
regolazione dei processi di decarbonizzazione del trasporto, che presentano rischi
elevati di trasferimento verso modalità più inquinanti o verso sistemi logistici extra-UE
con standard ambientali più bassi, penalizzando un percorso di decarbonizzazione che
necessita di gradualità e prudenza.
La rete stradale e autostradale italiana è vetusta e richiede rilevanti piani pluriennali di
manutenzione straordinaria. Per quanto centrale sia l’intermodalità per le politiche di
decarbonizzazione, il trasporto delle merci non può prescindere dall’autotrasporto e la
sua decarbonizzazione va profondamente ripensata, per evitare costi sociali insostenibili.
La decarbonizzazione, impostata sul principio della “neutralità tecnologica”, deve
prevedere l’impiego non solo dell’elettrificazione, ma anche del bio-fuel, e tempi e target
attuativi tarati su obiettivi realistici, con sostegni alle imprese per il rinnovo dei mezzi e
l’approvvigionamento di nuove fonti energetiche a più basso o nullo impatto ambientale.
I valichi stradali alpini stanno subendo una seria criticità, manutentiva e regolatoria,
soprattutto sul Brennero e sul Traforo del Monte Bianco.
Ma è tutto l’Arco alpino ad avere bisogno anche di una diversa regolamentazione a
livello europeo, basata sulla governance condivisa dei principali corridoi europei di
trasporto stradale, in attesa che vengano realizzate le alternative ferroviarie previste
sulle TEN-T, come la Torino-Lione e il Brennero, e progettate opere di potenziamento,
come il raddoppio del Traforo stradale del Monte Bianco.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Il cargo ferroviario è in forte difficoltà, a causa delle interruzioni per cantieri (nuove opere
e manutenzioni), di calamità naturali e incidenti, del calo dell’export UE, della bassa
domanda interna e dello sviluppo dell’e-commerce. Tutti questi aspetti stanno
bloccando lo sviluppo dei traffici su rotaie. Il vero nodo è l’attuale dotazione
infrastrutturale ferroviaria, che va adeguata agli standard europei (lunghezza, pesi,
sagome) e completata nell’integrazione modale con reti stradali, porti, aeroporti,
interporti e aree urbane e metropolitane, come pure l’integrazione ai corridoi TEN-T e la
digitalizzazione di reti e operatori. Importanti sono anche le misure come il ferro-bonus,
per il trasferimento modale strada-ferro, ma vanno integrate con misure di riduzione dei
canoni e delle tariffe di accesso alla rete.
Il trasporto ferroviario delle merci per l’industria italiana, tipicamente trasformatrice, è di
vitale importanza, poiché se le vie del mare vengono utilizzate per i trasporti di lunga
distanza, la “via del ferro” è fondamentale per l’importazione delle materie prime e per
l’esportazione dei prodotti finiti, trasformati. Non si tratta solo di un tema di competitività
e di riduzione dei costi, ma l’utilizzo della rete ferroviaria per il trasporto delle merci è un
tema anche e soprattutto di sicurezza e di autonomia nazionale.
I primati che abbiamo raggiunto con l’alta velocità – in termini di capacità e gestione devono essere raggiunti, con altrettanto impegno, anche nella realizzazione di
infrastrutture adeguate ed efficienti di collegamento su ferro con l’Europa continentale.
Forte attenzione va data alla riforma degli interporti, che deve rappresentare
un’occasione di modernizzazione del concetto di trasporto intermodale allargato,
pubblico e privato, funzionale allo sviluppo della logistica ferroviaria.
Il settore marittimo-portuale sta vivendo una fase di trasformazione, in particolare nel
Mediterraneo. La resilienza dei nostri porti sta mantenendo una apprezzabile crescita dei
traffici, rispetto ai cambiamenti tra rotte e destinazioni dovuti soprattutto alla Crisi del
Mar Rosso, che sta cambiando gli attuali equilibri portuali mediterranei, con incrementi
sensibili della movimentazione transoceanica nel sistema portuale occidentale (Spagna
e Nord Africa) e decrementi in quello centrale (in particolare l’Italia) e orientale, in parte
compensato da un aumento dei traffici intra-mediterranei (RO-RO e feeder) nel
Mediterraneo Orientale, nell’ambito dei quali, va ricordato, l’Italia primeggia.
Vanno però neutralizzate misure come l’ETS, che penalizzano gli scambi intramediterranei tra UE ed extra-UE, mentre nel traffico interno di cabotaggio l’impatto del
mare-bonus, pur rifinanziato, va stabilizzato e rafforzato per un più deciso trasferimento
modale strada-nave.
Nei confronti di questi potenziali riassetti, il rilancio della competitività della portualità
nazionale dovrebbe trovare rispondenza nella sua riforma delle Autorità di Sistema
Portuale, con una rafforzata competenza centrale pubblica e la digitalizzazione
dell’intera catena logistica.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Il cargo aereo sta crescendo, ma vi sono ancora ampi margini di sviluppo, specie a
favore dell’export, grazie alla sua efficienza, velocità, affidabilità/sicurezza e puntualità.
L’Italia può recuperare un 30% in più di traffico merci aereo oggi gestita da altri aeroporti
europei, innanzitutto aumentando la capacità sui voli punto a punto dagli aeroporti
italiani, digitalizzando i sistemi logistici aeroportuali e semplificando le procedure di
sdoganamento. Sono temi su cui il Piano Nazionale Aeroporti (PNA) dovrebbe
assolutamente puntare, insieme all’introduzione e alla diffusione della Carta dei Servizi
Merci, strumento strategico per misurare e aumentare l’efficienza dei sistemi
aeroportuali italiani, e ad una efficace regia nazionale, che affronti i nodi urbanistici,
come quello di Malpensa, e migliori l’accessibilità e l’intermodalità ferroviaria.
Un’altra opera che fungerà da volano per lo sviluppo del nostro Paese è il Ponte sullo
Stretto di Messina, il quale rappresenterà un’infrastruttura strategica per il collegamento
tra la Sicilia e il continente europeo. Si stima che possa ridurre i tempi di attraversamento
da circa 1 ora (traghetto) a poco più di 5 minuti in auto o treno. Inoltre, potrebbe favorire
un incremento del traffico annuo fino a 6 milioni di veicoli e 10 milioni di passeggeri. Da
considerare come le opere annesse previste nel progetto definitivo comprendano il
potenziamento di oltre 40 km di raccordi viari e ferroviari, essenziali per garantire
un’efficace integrazione nei trasporti nazionali.
Infine, da alcuni anni, l’e-commerce sta modificando sensibilmente le catene logistiche,
con un forte impatto sulla funzionalità delle città. Per l’Italia va impostata una
progettazione razionale ed efficiente del tema, per risolvere il problema delle emissioni e
dell’occupazione di suolo e, conseguentemente, della congestione perché, data la
rapidità dell’evoluzione del fenomeno, il rischio è il caos.
Sono, quindi, necessarie linee guida nazionali da attuare nelle diverse città in modo
omogeneo e coinvolgendo le rappresentanze di categoria, su temi quali: la distribuzione
intermedia con mezzi di trasporto a basse o zero emissioni e quella finale al cliente con
veicoli elettrici e cargo-bike; la pianificazione di una rete di stalli monitorati e controllati e
di parcel lockers o punti di ritiro comuni per la consegna dell’ultimo metro al
destinatario; aree di smistamento dotate di ricarica dei mezzi elettrici e un pacchetto di
incentivi, non necessariamente economici, come l’accesso alle ZTL o l’uso delle
preferenziali.
Altro profilo rilevante per l’efficienza degli scambi commerciali è quello doganale, la cui
recente riforma presenta una serie di criticità per gli operatori, anche del trasporto e
della logistica nazionale, con conseguenze sulla movimentazione delle merci e il rischio
che molti traffici in import ed export possano essere dirottati verso altri Paesi con meno
oneri amministrativi. Va quindi rivista la soglia economica per segnalare all’autorità
giudiziaria il reato di contrabbando. Occorre poi eliminare l’IVA dai diritti di confine e
introdurre il ravvedimento operoso, per consentire la rettifica degli errori formali compiuti
in buona fede.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIGITALE
L’intelligenza artificiale rappresenta una delle tecnologie più promettenti per il futuro
delle imprese, in grado di migliorare l’efficienza operativa, ottimizzare i processi e
innovare i modelli di business. Forza Italia ritiene che vada superata la dicotomia
negativa del rapporto tra rischi e opportunità con una visione realmente liberale che
preveda uno sviluppo tecnologico a vantaggio dei cittadini, della loro libertà e del loro
potere economico con un sistema di regole certe e orientate ad una innovazione
responsabile e sicura, mantenendo un approccio antropocentrico.
Grazie al contributo di Forza Italia, il Governo italiano ha messo in campo importanti
investimenti nel settore con il supporto di Cdp Venture Capital per le start up che
operano nel mondo informatico e che sviluppano progetti di intelligenza artificiale.
La via italiana all’intelligenza artificiale si coniuga con la strategia europea che ha
varato l’AI Act e della Commissione Europea che con Ursula von der Leyen, ha lanciato
InvestAI, un’iniziativa volta a mobilitare 200 miliardi di euro di investimenti nell’AI, che
comprende un nuovo fondo europeo di 20 miliardi di euro per le gigafactory dell’AI.
Questa grande infrastruttura sarà necessaria per consentire lo sviluppo aperto e
collaborativo dei modelli di AI più complessi e per rendere l’Europa un continente
dell’intelligenza artificiale evitando che questa innovazione tecnologica venga dominata
dalle società americane e asiatiche.
Per favorire uno sviluppo italiano ed europeo serve mettere in campo una strategia di
investimenti mirati per i centri di ricerca e le imprese italiane che studiano gli sviluppi
dell’intelligenza artificiale.
La nuova frontiera dell’innovazione va coniugata con un rafforzamento della strategia
nazionale di cybersicurezza, fondamentale tutela a difesa della sicurezza del nostro
sistema istituzionale, economico e industriale. Poiché il tessuto industriale italiano è
formato principalmente da Piccole-Medie-Imprese, l’aumento del loro livello di
cybersicurezza è necessario al fine di proteggerle maggiormente da cybercriminali e
rendere più resilienti le catene di fornitura. La regolamentazione, come l’AI Act, deve
essere esaminata per individuare sovrapposizioni e conflitti con altre normative
orizzontali dell’UE, come il Digital Single Act, il Data Act, il GDPR, nonché con i
regolamenti settoriali.
Attualmente, molte piattaforme cloud utilizzate dalle aziende italiane e dalla Pubblica
Amministrazione sono di proprietà di multinazionali straniere. Sviluppare
un’infrastruttura sicura per i dati nazionali, possibilmente in collaborazione con partner
italiani o europei, può migliorare la sicurezza e la sovranità digitale.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Inoltre, tassare di più i giganti del web che oggi sfuggono quasi completamente ad una
equa e corretta imposizione, con una forte azione innanzitutto europea. Siamo pertanto
favorevoli:
alla creazione di un Fondo nazionale pubblico-privato per l’AI volto a finanziare
imprese italiane che sviluppano soluzioni AI sicure;
all’istituzione di un credito d’imposta e incentivi fiscali per le imprese AI. Detrazioni
fiscali per chi investe in AI, con bonus extra per progetti legati alla sicurezza;
alla creazione di un Fondo per la transizione digitale delle PMI volto a sostenere, con
finanziamenti agevolati e/o strumenti fiscali, PMI che adottano soluzioni AI;
all’istituzione di premi per aziende che sviluppano AI interpretabili e trasparenti,
introducendo standard di sicurezza e qualità certificati per le imprese AI;
all’attrazione di capitali privati e venture capital. Creazione di un ecosistema
favorevole per fondi di investimento in AI;
alla creazione di corsi universitari, dottorati AI, master dedicati all’AI, centri di
eccellenza, al fine di creare sinergie tra mondo accademico e imprenditoriale su
progetti AI applicati;
all’incremento degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) con focus su AI per applicazioni
industriali per la formazione di nuovi talenti e per upskilling e reskilling dei lavoratori
italiani;
ad un quadro normativo chiaro e alla digitalizzazione dei servizi pubblici con AI per
efficienza e riduzione della burocrazia;
all’incremento della protezione dei dati per l’AI. Strumenti e regolamenti per garantire
che le aziende AI rispettino GDPR, introducendo standard di sicurezza e qualità
certificati per le aziende AI.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
INVESTIMENTI
La nuova politica industriale richiede ingenti investimenti. Servono più risorse europee,
inclusi gli eurobonds, e occorre indirizzare le risorse nazionali a sostegno della
competitività delle imprese. L’Ires premiale e i crediti d’imposta di Transizione 5.0 vanno
in questa direzione.
Le prime stime sull’impatto dell’Ires premiale, ovviamente da validare nel tempo,
indicano un potenziale di nuovi investimenti nel prossimo biennio per una decina di
miliardi.
Serve continuare con gli incentivi agli investimenti in macchinari e tecnologie, alla ricerca
ed innovazione, per garantire un approccio basato sulla neutralità tecnologica. È utile
ricordare che in Italia le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale
generano il 52% del Pil e contribuiscono al 28% dell’occupazione registrando
performance superiori alla media UE.
Dobbiamo puntare su investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, logistiche ed
energetiche per rafforzare il sistema economico e ridurre i costi. Il trasporto marittimo
soffre di una modalità di gestione del sistema portuale troppo frammentata e
burocratizzata. Liberalizzazioni e privatizzazioni possono rilanciare il comparto.
Come descritto nella sezione logistica e trasporti, dobbiamo investire in interporti
logistici, strade, porti e ferrovie, espandere la copertura della banda larga ultraveloce e
delle reti 5G, e l’accesso equo in tutto il Paese, incluse le aree rurali. Inoltre, rilanciare
Project financing e la collaborazione pubblico-privato in settori chiave come logistica,
infrastrutture e sanità anche attraverso l’utilizzo delle risorse fiscali previste nei piani
economici finanziari nei contratti con canoni di disponibilità.
Investire per favorire l’internazionalizzazione delle nostre imprese attraverso la
promozione dei prodotti italiani nei mercati esteri, supporto alle imprese che operano in
nuovi mercati e favorire accordi commerciali che valorizzino il Made in Italy.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
RILANCIO DEL MEZZOGIORNO
Mai come in questo momento ci sono le condizioni per un rilancio del Mezzogiorno. Da
un lato, i fondi del PNRR a cui si aggiungeranno le risorse del nuovo ciclo di
programmazione dei fondi strutturali e del Fondo di sviluppo e coesione e dall’altro lato
la revisione delle catene globali del valore possono rappresentare due straordinarie
opportunità per l’economia del Mezzogiorno.
Il governatore della Banca d’Italia, in occasione del 30° Congresso Assiom Forex ha
parlato di “un’occasione rara per il Mezzogiorno” visto che “a fronte della perdita di
convenienza di regioni remote, in passato destinatarie di cospicui investimenti
provenienti dalle economie avanzate, potrebbe rafforzarsi l’attrattività di territori che
possono far leva su energie rinnovabili a basso costo e prossimità ai mercati europei. In
un quadro di relazioni internazionali più difficili, l’appartenenza all’Unione europea e a
un’area valutaria stabile come l’eurozona, nonché l’adesione al blocco “atlantico”,
diventano vantaggi competitivi”.
Tuttavia “tradurre le opportunità in concrete occasioni di crescita richiede politiche attive
di attrazione dei capitali e il rafforzamento di fattori di contesto quali la dotazione di
infrastrutture, investimenti in capitale umano e sociale, l’efficienza delle Amministrazioni
pubbliche”.
Peraltro, è utile osservare che anche nel Mezzogiorno, laddove si è riusciti a creare nel
territorio un ambiente favorevole allo sviluppo, si sono ottenuti risultati economici di
eccellenza, riuscendo anche ad affrontare e resistere a condizioni di estrema difficoltà
come quelle che hanno caratterizzato il 2020. È questo il caso dei distretti industriali e
dei poli tecnologici attivi in questo territorio. Tra il 2008 e il 2023 l’export dei distretti
industriali del Mezzogiorno è cresciuto del 63,5%, registrando una performance migliore
a quella dei distretti localizzati nel Centro-Nord (+51,8%). Gran parte di questo
differenziale è spiegato dai risultati ottenuti negli ultimi anni: tra il 2019 e il 2023, infatti, le
esportazioni delle aree distrettuali del Mezzogiorno sono cresciute del 27,2%, oltre otto
punti percentuali in più rispetto al resto d’Italia (+18,9%). Anche nel 2024 i distretti del
Mezzogiorno hanno mostrato una dinamica migliore dei valori esportati (+1,7% la
variazione tendenziale nei primi nove mesi vs +0,5%).
I punti di forza dei distretti del Mezzogiorno riflettono la loro specializzazione produttiva,
più orientata verso i distretti agro-alimentari. Nel Mezzogiorno, infatti, la quota di
imprese distrettuali con certificati ambientali è pari al 16,2%, più del doppio di quanto si
osserva nel resto d’Italia (7,4%). Sempre il Mezzogiorno fa da traino alla crescita delle
superfici coltivate con metodo biologico, con il 64% dei terreni italiani e il 66% delle
aziende nazionali convertite al biologico.
Progressi sono emersi anche nei settori ad alta tecnologia. Si sono infatti consolidati poli
specializzati nella produzione di semiconduttori e microsistemi e nei settori aerospaziale
e farmaceutico.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Il Mezzogiorno presenta, poi, un alto potenziale ancora inespresso nel turismo
(nonostante gli ottimi risultati degli ultimi anni): pur avendo un patrimonio naturale,
storico e culturale unico al mondo, attrae meno turisti stranieri del resto del Paese.
Portualità, logistica ed energia sono gli altri pilastri su cui si gioca il ruolo economico
futuro del Mezzogiorno. Il posizionamento geografico al centro del Mediterraneo può
essere un elemento determinante per stimolare lo sviluppo economico. L’80% del
commercio mondiale viaggia via nave. Nel Mediterraneo (che rappresenta solo l’1% dei
mari) transita il 20% del traffico marittimo mondiale, il 27% della movimentazione dei
servizi di linea containers e il 30% dell’energia mondiale.
La guerra russo-ucraina ha spostato il baricentro energetico dall’Est Europa (Russia) al
Nord Africa (Algeria) rendendo il Mediterraneo più centrale sia per le dinamiche delle
energie fossili (soprattutto gas) sia per le rinnovabili. La transizione energetica imporrà
all’Europa di importare energie rinnovabili. Nel Nord Africa solare ed eolico hanno rese
altissime. Molti di questi paesi hanno poi la loro roadmap per l’idrogeno e diventeranno
centrali nella produzione per l’Europa. L’alta irradiazione solare e le ottime condizioni
eoliche nel Nord Africa favoriscono, infatti, la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili, necessaria ad alimentare il processo di elettrolisi da cui si ottiene l’idrogeno.
I porti del Mezzogiorno coprono circa la metà della movimentazione totale di merci nei
porti italiani e rappresentano un asset logistico per tutta l’economia nazionale; un ruolo
destinato a crescere. I porti del Sud Italia hanno poi una funzione strategica come hub
energetici. Inoltre, le Zone Economiche Speciali vicine ai porti possono diventare aree di
attrazione di investimenti proprio per il rilievo crescente dei porti come hub logistici ed
energetici.
Come accennato, è fondamentale promuovere politiche di investimento mirate che
favoriscano l’insediamento e il potenziamento di attività economiche soprattutto ad alto
valore, creando opportunità occupazionali di qualità per i giovani e valorizzando la loro
formazione. Tali politiche vanno coordinate con un serio piano di investimenti
infrastrutturali, potenziando non solo le vie marittime ma anche le reti ferroviarie; così
facendo, il Mezzogiorno potrà esprimere al meglio il suo potenziale industriale oltre che
le importanti vocazioni turistiche.
D’altra parte, l’uso delle risorse dei fondi strutturali e del PNRR potrebbe andare in
questa direzione, ma sarebbe utile introdurre per ogni intervento un vincolo obbligatorio
di impatto socio-economico preventivo, onde evitare interventi agevolati indiscriminati.
Per raggiungere tali obiettivi risulta indispensabile un forte coordinamento a livello
centrale – sia nella fase di genesi che di controllo – delle politiche di attrazione degli
investimenti e di governo del territorio.
Ci sono dunque motivi per pensare a un Mezzogiorno più centrale, dinamico e inclusivo.
Da decenni il Pil pro capite nelle regioni meridionali è poco più della metà di quello del
Centro-Nord. L’esistenza di un’area così estesa e popolata che presenta un ampio e
duraturo divario fra risorse disponibili e risultati conseguiti rappresenta un vincolo alla
crescita dell’economia italiana. Solo il superamento del sottoutilizzo delle risorse del Sud
può contribuire in modo determinante a innalzare il potenziale di crescita dell’intera
economia italiana.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
DIFESA
L’attuale scenario geopolitico è caratterizzato da conflitti ibridi, spesso condotti tramite
attori proxy, le cui conseguenze si estendono ben oltre le aree direttamente coinvolte,
influenzando la stabilità economica globale. In questo scenario, il recente annuncio della
Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, relativamente al piano
“Rearm Europe” presentato in questi giorni, disegna un quadro di 800 miliardi di spesa
aggiuntiva con risorse europee (a prestito, per 150 miliardi) e un nuovo spazio fiscale per
gli Stati membri per 800 miliardi, e integra anche l’esclusione delle spese per la difesa
dal Patto di Stabilità e Crescita. E’ un passo concreto, auspicato da tempo, e un
messaggio forte “sia per rispondere all’urgenza di agire a breve termine e per sostenere
l’Ucraina, sia per affrontare l’esigenza a lungo termine di assumerci maggiori
responsabilità per la nostra sicurezza europea” come la stessa Presidente ha dichiarato.
Si va nella giusta direzione, ma bisogna insistere di più per una maggiore collaborazione
europea, una vera Difesa UE, complementare e non alternativa alla NATO e che superi
le sovrapposizioni ancora esistenti tra gli Stati membri e sono necessari strumenti
finanziari adeguati per rendere questa misura efficace e sostenibile nel tempo.
La ripartizione del bilancio ordinario della Difesa, nel 2024, è stato pari a €29.184,2
milioni (1,37% del Pil nominale), ripartito per 61,5% per il personale, il 9,7% l’esercizio, il
26,8% l’investimento, l’1,4% le pensioni provvisorie e l’0.6% funzioni esterne. Il previsionale
del 2025 prevede un incremento di circa €2 miliardi, in modo da raggiungere l’1,38% del
Pil nominale, ancora molto lontani dal 2% richiesto ambito NATO, ma con la forte
volontà e determinazione di raggiungere il 2,4% del Pil in tempi ragionevoli.
La dottrina attuale identifica cinque domini operativi principali: terrestre, marittimo
(compreso l’underwater), aereo, spazio e cyber. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica e
l’espansione della dimensione digitale richiedono un ampliamento di questa visione per
includere la dimensione informativa e cognitiva. I conflitti moderni non si sviluppano più
all’interno di un solo dominio, ma sono sempre più caratterizzati da un approccio
multidominio, che richiede alle Forze Armate di operare con una logica focalizzata sugli
effetti esprimibili e generabili nei vari ambiti. In particolare, la dimensione cognitiva sta
assumendo un ruolo strategico crescente, con l’intelligenza artificiale utilizzata per
influenzare opinioni, percezioni e processi decisionali.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo nel comparto, oltre a sostenere l’operatività e
l’efficienza delle Forze Armate, hanno effetti di grande stimolo dell’economia:
favoriscono la creazione di centri di ricerca e sviluppo di tecnologie innovative (trasferibili
anche a settori non militari, complementarità e dualità delle Forze Armate),
incrementando l’occupazione qualificata, le economie di scala e la competitività
tecnologica.
In questo contesto i fondi e le iniziative, in ambito europeo e della NATO, che supportano
gli investimenti nazionali rivestono un’importanza fondamentale.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Il programma UE European defence industry reinforcement through common
Procurement Act (EDIRPA) mira a rafforzare l’industria della difesa attraverso appalti
comuni agli Stati membri e a colmare le lacune più urgenti e critiche nella capacità di
difesa comunitaria. Un tale progetto incentiva la cooperazione tra i membri e le loro
rispettive forze armate anche attraverso agevolazioni finanziarie, come il
cofinanziamento sino al 20% del valore dei contratti comuni specie se coinvolgono PMI
accreditate.
Il Nato Innovation Fund (NIF), è un fondo di venture capital multi-sovrano in ambito
NATO, partecipato da 24 paesi della NATO, dedicato agli investimenti in tecnologia
avanzate per aumentare la resilienza della difesa e della sicurezza degli Alleati. L’Italia
ha stanziato una spesa pari a 7,72 M€ per ciascuno degli anni dal 2025 al 2027.
Il potenziamento della capacità di difesa aerea nazionale prevede l’acquisizione di nuovi
sistemi SAMP/T, fondamentali per contrastare minacce missilistiche e aeree in un
contesto operativo sempre più complesso.
Il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, iniziativa di assoluta avanguardia a
livello internazionale, dimostra la chiara visione strategica del Paese in questo
particolare settore. Questo centro di eccellenza funge da catalizzatore per l’innovazione
tecnologica, promuovendo una stretta collaborazione tra università, centri di ricerca, PMI
e grandi aziende, il tutto sotto la guida della Difesa e nel particolare della Marina
Militare. Lo sviluppo di sistemi unmanned rappresenta una componente sempre più
cruciale sia in ottica surveillance che di difesa, questo anche a tutela delle infrastrutture
strategiche subacquee.
A Fronte della crescente minaccia rappresentata dai droni a pilotaggio remoto, è
necessario implementare sistemi di difesa efficaci contro questa tipologia di minaccia
asimmetrica.
L’acquisizione di ulteriori 25 F-35, porterà la flotta totale a 115 velivoli, rafforzando le
capacità operative dell’Aeronautica e della Marina Militare. L’Italia, insieme al Regno
Unito e al Giappone, partecipa a un’iniziativa multinazionale, il Global Combat Air
Programme (GCAP), volta a sviluppare un sistema di combattimento aereo di sesta
generazione.
Rinnovamento linea “Fregate” prosegue: l’Italia ha avviato la costruzione di due nuove
unità FREMM di ultima generazione (“EVO”).
Con la crescente digitalizzazione del campo di battaglia, il dominio cibernetico è
elemento cruciale di competizione. La cyber security è essenziale per proteggere le
infrastrutture critiche (basate su infrastruttura digitale) e mantenere la superiorità
tecnologica.
La Difesa italiana sta potenziando le proprie capacità di difesa cyber attraverso
l’adozione di sistemi avanzati per il monitoraggio continuo e la risposta tempestiva alle
minacce informatiche, garantendo la resilienza delle infrastrutture vitali.
La creazione di un’arma cyber (come nel modello tedesco, inglese e americano)
composta da personale militare e civile non è più un’opzione procrastinabile affinché
possa essere assicurata una postura proattiva nella difesa cibernetica a tutela dei
confini nazionali anche digitali a tutela della sovranità nazionale.
UN PIANO INDUSTRIALE
PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
SPACE ECONOMY
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industriale spaziale europea a lungo termine che rafforzi la sostenibilità e fornisca una
visione chiara per il futuro del settore, al fine di proporre obiettivi ambiziosi agli investitori
e sviluppare una forte identità europea nel settore.
L’Italia è da sempre protagonista nella Space Economy e si posiziona tra i principali
attori sia nel commercio mondiale, sia tra i paesi brevettatori, confermando un’elevata

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