Regalare i fondi di coesione e il Pnrr alle lobby militari: Bruxelles ci pensa


Ancora prima di ricevere un centesimo dal piano «Riarmare l’Europa» che la Commissione Ue sta preparando, i produttori di armi, munizioni, carri armati e caccia hanno festeggiato ieri in borsa con aumenti fino al 16%.

La lettura delle bozze della lettera di Von Der Leyen, ieri erano in circolazione, è interessante per avere una prima idea su dove, come e a chi si pensa di prendere i soldi nella nuova avventura di un’Europa terrorizzata dopo un mese di Trump.

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La prima ipotesi sul tavolo è la flessibilità del «Patto di stabilità e crescita». Si vuole attivare una clausola di salvaguardia a livello nazionale solo per le spese per la difesa. I tagli alla spesa sociale continueranno. Il governo Meloni ha già decurtato 12 miliardi di euro a ministeri e enti locali. Per ora. Non è escluso che peggiorerà la situazione.

La seconda ipotesi è usare i 94,9 miliardi di euro di prestiti che non sono stati richiesti dagli Stati membri al fondo che finanzia i «piani di ripresa e resilienza». Pensato durante la pandemia, questo piano rischia fortemente di non rispettare le sue premesse, a cominciare dalla sanità. Basti pensare alle «case di comunità» in Italia di cui spesso abbiamo scritto su Il Manifesto.

Ieri il ministro delegato al Pnrr, Tommaso Foti, è tornato sulla richiesta di rinviare la scadenza di giugno 2026 del suo omologo all’Economia Giorgetti. Foti ha detto di sperare che la Commissione «prenda atto delle difficoltà che ora ci sono». Ieri Confindustria ha confermato i ritardi nell’«implementazione» e il «peggioramento dell’efficienza della spesa». In un altro rapporto la fondazione Openpolis Sono ancora 235 le scadenze ancora da conseguire tra il 2025 e il 2026. Ha sostenuto che il Pnrr italiano è tutt’altro che in una fase avanzata. Ci sono 235 scadenze da conseguire tra il 2025 e il 2026. Casomai Bruxelles non concedesse il sospirato rinvio al governo italiano, questi fondi potrebbero andare a ingrassare i cannoni. Dal rimedio al Covid alla costruzione delle bombe: il passo è stato breve, in fondo.

Un’altra fonte di finanziamento per le industrie delle armi potrebbero essere i fondi per la coesione, quelli che servono alle regioni per costruire infrastrutture. Teoricamente è vietato spenderli per le armi. Ma si starebbero studiando i modi creativi per impiegarli lo stesso, ad esempio nel «dual use», cioè il civile e il militare. Antonio Costa, presidente portoghese del consiglio europeo ha mostrato come ragionano i «socialisti». «Difesa e sicurezza riguardano anche lo sviluppo delle comunità locali» ha detto. Costruire una fabbrica di spilli o mine anti-uomo è la stessa cosa. L’idea non sembra avere del tutto convinto il Comitato delle regioni e, probabilmente, il governo italiano.

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L’ipotesi sui fondi di coesione circola da quando una prima indiscrezione è apparsa sul Financial Times quattro mesi fa. La posta è alta: 379 miliardi previsti nel bilancio Ue 2021-27, un terzo del budget complessivo, importante quanto la politica agricola. Sono fondi complicati da spendere. Come per il Pnrr, anche qui l’Italia si è mostrata incapace di spendere. Questi fondi restano una strada più percorribile del «debito comune» Ue, dello scorporo della spesa militare dal patto di stabilità o di una Banca «armata» sovranazionale di cui si parla. Per ora tutto è ancora per aria. E andrà deciso il Pil per la difesa al 2,5 o al 3%. L’Ue arriverebbe a 150 miliardi in più l’anno, 700 miliardi in 5 anni L’Italia dovrà raddoppiare gli attuali 32 miliardi l’ann.o In vista della manifestazione del 5 aprile a Roma i Cinque Stelle ieri hanno protestato. Sui fondi di coesione «il governo vuole fare uno scippo all’Italia», «festeggiano le lobby delle armi».



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