Gloria Trevisani: ”Fiammata di ordini dopo Underwood-Trump, ma la realtà è ben più complessa” Moda


Il Sole 24 Ore dedica oggi un’intervista a Gloria Trevisani, titolare di Crea-Sì, l’azienda di Carpi recentemente assurta all’onore delle cronache per aver vestito con un proprio abito la cantante Carrie Underwood alla cerimonia d’insediamento del presidente Trump. Una vetrina che, racconta il Sole, ha portato “una fiammata di ordini online” all’azienda carpigiana. Che, tuttavia, deve anch’essa fare i conti col momento più difficile della storia della filiera della moda. 

«È stato un colpo di fortuna che un’icona con milioni di follower abbia scelto un nostro capo – racconta Trevisani al giornale di Confindustria – ma dietro questo momento di visibilità c’è una realtà ben più complessa. La domanda è in calo a doppia cifra anche i brand del fashion per cui lavoriamo sono molto più cauti a fare prototipi e campionari, e quindi ordini. Se prima facevano ore di straordinari a ridosso delle sfilate e del lancio di nuove collezioni, ora chiudiamo la settimana senza alcuna spinta. Arrivano progetti da chiudere in fretta e poi abbiamo buchi di giorni, non c’è più continuità di lavoro e quindi di flussi di liquidità, lavorando a singhiozzo». segue

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Dinamiche che non riguardano certo solo l’azienda di Carpi o le aziende di Carpi ma l’intero settore: «Se prima un cliente comprava dieci capi l’anno, oggi ne compra tre o quattro», dice Trevisani, appena rientrata da New York. Una dinamica di mercato che assume ovvie conseguenze sulle aziende della filiera.

Le chiavi, di cui si parla da anni, sono quelle dell’internazionalizzazione: «Il problema non sono i dazi statunitensi, che già ci sono sui nostri prodotti e vanno dal 15 al 30%, e speriamo che Trump non li aumenti, ma il fatto che per affrontare i mercati esteri e partecipare a fiere servono risorse umane e finanziarie», racconta l’imprenditrice carpigiana. segue

Risorse finanziaria su cui cercano di intervenire anche fondi speciali della Regione o dell’Ice: «Abbiamo partecipato a una fiera estera grazie a un bando regionale, rendicontato tutto nel 2023, e i soldi sono arrivati solo a inizio 2025. E i tempi sono questi anche quando si parla di investimenti in digitalizzazione e transizione green: senza anticipi o un meccanismo di voucher le piccole aziende, fondamentali per salvare la moda Made in Italy, non possono affrontare investimenti perché non hanno le forze per restare scoperte anni e chi compra oggi non è disposto a pagare di più perché il nostro prodotto è sostenibile. Il valore aggiunto del Made in Italy viene dato per scontato, ma ha costi alti». E si torna insomma alla liquidità…

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«Quasi ogni giorno vengono da me italiani, cinesi e indiani dei piccoli laboratori qui attorno a chiedermi se abbiamo lavoro. Noi cerchiamo di non perdere i nostri fornitori storici, diamo la priorità a loro, ma la situazione è davvero buia», conclude Trevisani.



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