Imprese, l’ambientalismo dogmatico europeo va ko


Sarà l’effetto del ciclone Trump oppure del rapporto Draghi, o di entrambe le cose, ma la Commissione europea sembra aver deciso di cambiare rotta e di abbandonare gli schemi tipici dell’ambientalismo militante che avevano raggiunto il loro acme con il green deal e che rischiavano di trasformare le aziende europee in presidi burocratici di tutela ambientalista. Con tanti saluti alla produttività, alla competitività e alla fine anche alla libertà d’impresa. È l’effetto del pacchetto Omnibus presentato dalla Commissione europea che riscrive le norme del green deal e che ha come primo effetto quello di escludere l’80% delle imprese dagli obblighi di rendicontazione Esg (enviromental, social governance), che vengono confermati solo per imprese con almeno mille dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato o 25 milioni di patrimonio.

Le Pmi possono tirare un sospiro di sollievo perché vengono escluse da quasi tutti i vincoli burocratici e contabili.

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Nel pacchetto Omnibus tra le altre cose si prevede anche la riscrittura del Cbam (carbon border adjustment mechanism), che prevede una sorta di tassa sul carbonio incorporato nella produzione dei beni in ingresso nella Ue. La riscrittura prevede l’esenzione per circa 182 mila piccoli importatori mantenendo comunque la copertura per le emissioni dei settori più inquinanti, cioè ferro acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti.

Altra importante revisione riguarda la limitazione della dovuta diligenza delle imprese ai soli fornitori diretti, mentre la norma precedente le avrebbe obbligate a identificare i rischi lungo tutta l’intera catena di fornitura. Un adempimento che nella maggior parte dei casi sarebbe stato non solo estremamente oneroso, ma decisamente impossibile, perché i fornitori stranieri, spesso a loro volta inseriti in una lunga catena di subfornitori, non avrebbero avuto alcun interesse a fornire questo tipo di informazione né le aziende europee avrebbero avuto strumenti per verificare la correttezza di dati eventualmente forniti. Naturalmente le associazioni ambientaliste protestano. “La Commissione europea sta smantellando i propri impegni in tema di sostenibilità sociale e ambientale”. È quanto sostiene Mani Tese, una organizzazione non governativa, in un comunicato diffuso venerdì 28 febbraio. Secondo cui “non si tratta di una semplificazione, ma di un tradimento. Alle aziende negligenti è concessa infatti la libertà di operare senza conseguenze, è stravolto il significato di stakeholder, limitando la dovuta diligenza ai soli fornitori diretti, viene ostacolato il coinvolgimento delle parti interessate, sono eliminati obblighi vincolanti sulla protezione dei diritti del lavoro, così come la responsabilità civile”. Una posizione ancorata a quella di un ambientalismo dogmatico che pretende di scaricare sulle imprese oneri da socialismo reale in salsa green. Nella nuova Commissione europea ha vinto invece una linea più soft che non cancella l’obiettivo della decarbonizzazione ma lo affronta in modo più graduale e con vincoli che non corrono il rischio di mettere fuorigioco molte imprese europee e non le incentivano come prima a delocalizzare la loro produzione in aree del pianeta non sottoposte ai vincoli europei.

In definitiva, un alleggerimento dei vincoli burocratici senza però abbandonare un percorso verso un’industria più pulita, sintetizzato nella nuova parola d’ordine: clean deal, al posto dell’ormai stantìo green deal.

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