Volodymyr Zelensky è andato a Washington per firmare l’accordo sullo sfruttamento delle risorse naturali dell’Ucraina. È ripartito senza concludere nulla, dopo uno scontro aperto nello Studio Ovale con Donald Trump e JD Vance. Mettendo da parte la sorpresa per le polemiche pubbliche – che di solito non avvengono davanti alla stampa – occorre concentrarsi sui punti sostanziali in gioco. Trump sostiene che si può e si deve trattare con Putin; Zelensky non si fida e chiede garanzie di sicurezza immediate.
Nell’accordo ora sospeso c’era poco riguardo alla sicurezza. L’unica frase inserita recita che gli Stati Uniti “sostengono gli sforzi dell’Ucraina per ottenere le garanzie di sicurezza necessarie per stabilire una pace duratura”. Non si parla di un impegno diretto, né si lega l’attività economica alla fine della guerra.
Nella visione di Trump, l’accordo stesso rappresenta una sorta di garanzia. Come ha dichiarato nel corso della riunione di gabinetto del 26 febbraio: “Saremo lì a lavorare. Saremo sul terreno. E questo, sapete, è una sorta di garanzia automatica, perché nessuno vorrà dare fastidio ai nostri mentre siamo lì”. In effetti, se gli Stati Uniti saranno coinvolti nell’attività economica ucraina, ci si potrà aspettare un’attenzione costante alla stabilità del Paese.
Certo, cade l’idea di un sostegno puramente idealistico, visto che Trump vuole riavere indietro i soldi investiti, e anche di più. Ma ci sono due considerazioni da fare. La prima è che è stato lo stesso Zelensky a sollevare la questione delle terre rare, come esca per ottenere la continuazione del sostegno americano. Trump non ci ha pensato due volte, e alla fine Zelensky è stato costretto ad accettare un accordo più oneroso di quello che sperava.
Il secondo aspetto è che non sono solo gli USA a essere interessati ai minerali essenziali per l’economia digitale: anche l’Unione Europea ha avanzato una proposta simile. Il 24 febbraio, il Commissario per la strategia industriale, Stéphane Séjourné, ha affermato che “ventuno dei trenta materiali critici di cui ha bisogno l’Europa possono essere forniti dall’Ucraina”. Le smentite sono arrivate presto, così come i dubbi sull’effettiva dotazione mineraria del Paese, ma dovrebbe essere chiaro che l’elemento economico viene sfruttato da tutte le forze in campo, compreso Vladimir Putin, che non ha perso tempo a fare una propria proposta agli USA.
Sul fronte militare, rimangono le incertezze sui contorni di un eventuale accordo per porre fine alla guerra. Washington non intende impiegare le truppe, mentre in Europa sembra esserci una corsa per dimostrare di poter svolgere un ruolo attivo. Tanto che si assiste al ritorno in campo del Regno Unito, che evidentemente non vuole lasciare campo libero a un’Europa a guida francese. Quando si tratta di condurre il “grande gioco” nei confronti della Russia, Londra è sempre in prima fila.
Il presidente russo continua a ripetere che non vuole vedere truppe NATO in Ucraina, ma qui entrerà in gioco la capacità di negoziazione del tycoon. A mio avviso, se Trump parte in modo deciso, può ottenere un risultato equilibrato: riconoscere il controllo della Russia su circa il 20 per cento del Paese, mentre si consolida l’indipendenza del resto dell’Ucraina con una chiara garanzia di sicurezza. Ciò significa non solo permettere la presenza di truppe dall’esterno, magari a rotazione, ma soprattutto garantire la fornitura di quantità significative di armi e sistemi di difesa moderni occidentali, compresa la superiorità aerea.
Come fare accettare questo a Putin? Il discorso è semplice: senza Trump, l’Occidente non mostrava alcuna intenzione di porre fine alla guerra né di riaprire i rapporti economici e diplomatici con la Russia. Per il Cremlino, va di lusso la nuova disponibilità della Casa Bianca, mentre l’alternativa è continuare a perdere decine di migliaia di uomini e sottoporre l’economia russa a tensioni non indifferenti. E’ vero che la Russia ha dimostrato di poter resistere al tentativo di isolamento, ma la prospettiva di tornare a essere trattata come una grande potenza e di ricostruire un ruolo nei confronti del mondo occidentale è allettante.
La condizione è chiara: Mosca non dovrà mai più oltrepassare la linea stabilita, pena una risposta ancora più forte di quella vista finora. La prospettiva dell’allargamento della NATO non sarà più sul tavolo, ma è ormai troppo tardi per la richiesta di Putin di tornare alla situazione precedente; quel treno è già partito. Ora si tratta di accettare l’accordo che è davanti ai nostri occhi, riconoscendo che l’alternativa sarebbe disastrosa per tutti.
di Andrew Spannaus
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