Il percorso della sostenibilità: una nuova prospettiva di sviluppo aziendale


Oggi, l’attenzione agli impatti ambientali, sociali ed etici è diventata un elemento strategico fondamentale per le imprese, sia dal punto di vista economico che nella creazione di valore a lungo termine. Integrare politiche sostenibili consente di ridurre rischi operativi e finanziari, migliorare l’efficienza energetica e ottimizzare la gestione delle risorse, con un impatto diretto sulla redditività e sulla competitività. Inoltre, le aziende che adottano pratiche ESG (Environmental, Social, Governance) solide attraggono più facilmente investitori istituzionali, sempre più orientati verso investimenti sostenibili, e migliorano la propria reputazione presso consumatori e stakeholder. Un forte impegno in ambito ESG, non solo tutela l’azienda da sanzioni normative e rischi reputazionali, ma contribuisce alla fidelizzazione di clienti e talenti, favorendo un modello di crescita sostenibile e resiliente nel tempo.

Il bilancio di sostenibilità (o rendicontazione di sostenibilità) è il documento che le aziende utilizzano per rendicontare il proprio impatto ambientale, sociale e di governance: si tratta di uno strumento di disclosure che, non offre solo un’illustrazione dei risultati raggiunti dall’impresa, ma contiene, altresì, una visione  prospettica (secondo l’approccio di “forward-looking”), consentendo alle imprese di stabilire obiettivi di sostenibilità nel breve, medio e lungo termine, nonché appositi KPI (Key Performance Indicators) per il monitoraggio e la rendicontazione dello stato di avanzamento.

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L’importanza della tematica ha portato l’Unione Europea a numerosi interventi di carattere normativo. Da ultimo, lo scorso 5.1.2023 è entrata ufficialmente in vigore la direttiva Ue 2022/2464, chiamata Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Questa direttiva si inserisce nel quadro normativo del Green Deal Europeo, attraverso cui l’Unione Europea si è impegnata ad azzerare le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2050 e sostituisce l’attuale direttiva sulla disclosure di carattere non finanziario NFRD del 2014.

In Italia, il recepimento della direttiva CSRD è avvenuto tramite il D.Lgs. 125/2024.

Ai sensi dell’articolo 3, D.Lgs. 125/2024, oggi sono obbligate alla rendicontazione di sostenibilità in un’apposita sezione della relazione sulla gestione:

  • le imprese e i gruppi di grandi dimensioni ai sensi della definizione contenuta nell’articolo 1 del citato decreto, ovvero coloro che soddisfano almeno due dei seguenti requisiti: attivo di stato patrimoniale superiore a euro 25.000.000; ricavi netti superiori a euro 50.000.000; numero medio di dipendenti durante l’anno finanziario superiore a 250;
  • le piccole e medie imprese quotate, a condizione che non siano considerate delle “micro-imprese” ai sensi della definizione contenuta nel decreto. Sono microimprese le società che alla data di chiusura del bilancio non abbiano superato, nel primo esercizio di attività o successivamente per due esercizi consecutivi, due dei seguenti limiti: 1) totale dello stato patrimoniale: euro 450.000; 2) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: euro 900.000;
  • Gruppi con casa-madre extra UE con fatturato netto di oltre euro 150.000.000 (generato dalle consociate del gruppo all’interno dell’UE) per due esercizi successivi.

Tuttavia, a prescindere dagli attuali obblighi di legge, è bene evidenziare come ogni organizzazione operi in un contesto complesso dal punto di vista sociale, istituzionale e ambientale, intrecciando relazioni con numerosi stakeholder, prelevando risorse e generando impatti che possono essere sia positivi sia negativi. In mancanza di un’informativa sulla sostenibilità, la Relazione sulla Gestione o altre forme di comunicazione obbligatorie potrebbero non restituire un quadro completo dell’attività organizzativa e del suo potenziale. Ne consegue che, aldilà – come anzidetto – degli obblighi normativi, la rendicontazione di sostenibilità può divenire strumento chiave per una revisione strategica del modello operativo prima e per una comunicazione efficace poi.

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Ma, esattamente, in cosa consiste la rendicontazione di sostenibilità? La struttura di questo strumento può essere sintetizzata come segue:

  1. premessa metodologica (standard di rendicontazione, matrice di doppia materialità, ecc.);
  2. descrizione della società/gruppo (focus su mission, valori aziendali, modello di business, certificazioni, modelli organizzativi);
  3. mappatura degli stakeholders;
  4. definizione di una mappa strategica di sostenibilità e della strategia di sostenibilità predisposta (sia nel breve che nel medio termine);
  5. analisi dettagliata delle singole tematiche individuate (ambientali, sociali, economiche e di governance).

La rendicontazione è sia relativa alla singola impresa (rendicontazione individuale di sostenibilità, articolo 3, D.Lgs. 125/2024) sia relativa al gruppo (rendicontazione consolidata di sostenibilità, articolo 4, D.Lgs. 125/2024).

E, dunque, i contenuti minimi che devono emergere dalla struttura del report sono:

  1. Il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività dell’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettera a), D.Lgs. 231/2001, anche con riferimento alla gestione dei suddetti temi.
  2. Le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di dovuta diligenza, i risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario.
  3. I principali rischi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto.
  4. L’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche.
  5. Le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera.
  6. Ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, l’impatto sull’ambiente, nonché sulla salute e la sicurezza, o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario.
  7. Aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali.
  8. Rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonché le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori.
  9. Lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati.

Emerge, quindi, come il bilancio di sostenibilità risulti essere uno strumento chiave per la trasparenza e la rendicontazione delle performance ESG di un’azienda: questo strumento può proficuamente integrarsi con altri strumenti di risk management come il Modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 231/2001 (“Modello 231”), il Tax Control Framework (“TCF”) e la Transfer Pricing Documentation (“TP Documentation”) per consentire una gestione dinamica, trasparente ed anche responsabile dei rischi aziendali.

Il Modello 231, attraverso il sistema di controlli interni e protocolli di prevenzione, riduce i rischi di responsabilità amministrativa, promuovendo una governance etica. Il TCF, d’altro canto, assicura un presidio efficace sui rischi fiscali connessi alla operatività aziendale, consentendo di monitorare e documentare la conformità alle normative tributarie, in coerenza con i principi di trasparenza del bilancio di sostenibilità. La TP Documentation, infine, tutela l’azienda da contestazioni in materia di prezzi di trasferimento (consentendo la disapplicazione delle sanzioni amministrative in caso di contestazione da parte della amministrazione finanziaria) e garantendo la corretta allocazione dei profitti tra giurisdizioni fiscali. L’integrazione di questi strumenti nel bilancio di sostenibilità rafforza il controllo dei rischi legali, fiscali e reputazionali, contribuendo alla creazione di valore per gli stakeholder e alla sostenibilità a lungo termine dell’impresa.

Pertanto, una delle maggiori sfide per imprenditori e top managers – indipendentemente che si trovino alla guida di realtà più domestiche piuttosto che di aziende con proiezione sovranazionale (anche nella forma di gruppi multinazionali) – è quella di costruire una visione integrata di (almeno) queste 3 dimensioni della attività di business, al fine di individuarne prontamente non soltanto le aree di rischio, bensì anche di liberare il potenziale di crescita ancora inespresso in una arena competitiva globale. 



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