Dati e società digitale: perché serve una nuova governance (1)


Ormai da diversi anni è in atto una trasformazione digitale delle relazioni politiche, economiche e sociali sempre più profonda che il contesto culturale, giuridico e istituzionale tradizionale fatica a inquadrare e interpretare, nonostante alcuni significativi interventi legislativi messi a punto soprattutto dalla UE.

Al cuore della trasformazione digitale ci sono i dati in formato digitale o, per dir meglio, i grandi agglomerati in cui i dati, generati e raccolti da tecnologie sempre più pervasive, sono organizzati da chi governa le tecnologie.

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Il rapporto fra questi enormi agglomerati di dati, la collettività di cose, persone e imprese a cui si riferiscono e le istituzioni che governano e rappresentano quella collettività è l’oggetto di questa riflessione che è articolata in quattro articoli di cui questo è il primo.

L’obiettivo complessivo è contribuire a una riflessione sulla sostenibilità della società digitale e sugli strumenti di governo necessari perché lo sviluppo del digitale nella società e nell’economia sia coerente con i principi di libertà, giustizia e democrazia che oggi la reggono.

I dati e la rappresentazione della realtà

Riporto, qui sotto, il primo considerando del REGOLAMENTO (UE) 2023/2854 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13 dicembre 2023 riguardante norme armonizzate sull’accesso equo ai dati e sul loro utilizzo, che introduce adeguatamente il tema:

  • Negli ultimi anni, le tecnologie basate sui dati hanno avuto effetti trasformativi su tutti i settori dell’economia. In particolare, la proliferazione di prodotti connessi a Internet ha aumentato il volume e il valore potenziale dei dati per i consumatori, le imprese e la società. […] Gli stessi dati possono essere utilizzati e riutilizzati per una varietà di scopi e in misura illimitata, senza alcuna perdita in termini di qualità o quantità.

La declinazione statunitense di questo tema è molto più pragmatica ed è ben rappresentata dalla vicenda TikTok (Leggi a questo proposito l’articolo su TikTok e data governance n.d.r.): la proprietà della filiale statunitense di TikTok deve diventare americana. due amministrazioni di segno diverso, cioè, danno per scontata la pericolosità potenziale del social per lo Stato e si preoccupano di assicurare che la proprietà del social sia riportata all’interno del sistema di potere nazionale.

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Dati e società digitale
Sergio Fumagalli, Senior Partner P4I

Quali criteri per una valutazione oggettiva dei fattori di rischio

Sul tappeto, per gli europei, rimangono due domande: la proprietà cinese di Tik Tok è un pericolo anche per noi? E poi, i social media e i servizi internet utilizzati massicciamente dagli europei, tutti di proprietà straniera, sono un pericolo per le nostre Istituzioni o no?

Le tecnologie digitali generano, raccolgono e immagazzinano continuamente una quantità crescente di dati e su di essi consentono di costruire, in modo sempre più sofisticato, un numero potenzialmente illimitato di rappresentazioni digitali della realtà ogni giorno più complete e verosimili: data lake, intelligenza artificiale, big data, social media, search engine, ….

Sempre più, gli esseri umani interagiscono con la realtà essendo intermediati da queste rappresentazioni: il numero di ore del giorno speso interagendo con il proprio dispositivo mobile è stimato in circa 5-6 ore/giorno negli USA.

Più o meno consapevolmente, tutte le relazioni politiche, economiche e sociali si basano su tali rappresentazioni o, quantomeno, ne sono profondamente influenzate.

Il digitale come strumento di rappresentazione della realtà

Qualsiasi rappresentazione della realtà, però, ne costituisce una approssimazione che ne evidenzia alcune caratteristiche e ne trascura altre. Diventa allora essenziale conoscere i criteri, gli obiettivi e i limiti di una rappresentazione.

A differenza dei giornali e dei media tradizionali, nessuno è tenuto a rispondere dei criteri utilizzati per costruire una rappresentazione, degli obiettivi e dei limiti di una rappresentazione e neppure a dichiararli.

Sempre a differenza dei media tradizionali, nessuno risponde dei criteri e delle priorità con cui queste rappresentazioni della realtà vengono proposte alle persone fisiche, criteri che sono tutti all’interno di algoritmi opachi e, in gran parte, segreti.

In questo modo, però, chi è padrone dei dati sta diventando padrone della realtà essendo il tramite irresponsabile attraverso cui questa viene conosciuta e potendo arbitrariamente proiettarne qualsiasi rappresentazione, in funzione delle caratteristiche e delle vulnerabilità del destinatario.

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Il valore economico del dominio dei dati che da tutto ciò deriva è incalcolabile.

I dati sono il nuovo petrolio. O sono meglio?

Nel 2006, agli albori della digital economy, Clive Humby, coniò l’espressione ”Data is the new oil” (I dati sono il nuovo petrolio), che negli anni ebbe molto successo ma non fu approfondita come avrebbe meritato. Pensava al marketing ma aveva colto una analogia ben più profonda.

Come il petrolio sta alla base dell’industria petrolifera, di molti altri settori industriali e dei cambiamenti sociali da questi indotti, i dati sono alla base dell’economia digitale e di tutte le trasformazioni che il digitale ha indotto negli altri settori industriali e nella società.

Le analogie però finiscono qui: i dati sono molto meglio del petrolio.

La disponibilità di dati cresce continuamente e a un ritmo non lineare ma accelerato grazie a tecnologie sempre meno costose e sempre capillari e facili da utilizzare.

Dati riutilizzabili all’infinito

E poi, non si consumano mai e sono riusabili all’infinito, per finalità che magari erano impensabili quando sono stati raccolti, dando origine ai prodotti e ai servizi più diversi che trasformano le relazioni sociali, economiche e politiche, producendo, così nuovi dati.

Possono essere mescolati, integrati, sovrapposti, catalogati, abbinati, cancellati senza subire alcun danno. Possono essere trasformati all’infinito. In questo ricordano alcune plastiche derivate dal petrolio senza però, lasciare residui inquinanti nell’ambiente.

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L’estrazione di petrolio avviene alla luce del sole, come la sua trasformazione che, per quanto avanzata e complessa sia la tecnologia utilizzata, si sa dove avviene, qual è la legislazione applicabile e l’autorità che la fa rispettare e che incassa i proventi relativi al greggio estratto. E, naturalmente, il costo dell’estrazione è a carico delle società petrolifere.

Invece, i dati, la materia prima dell’economia digitale, sono gratis. Salvo casi particolari, i loro proprietari sono felici di regalarli in cambio di servizi gratuiti – la posta, il motore di ricerca, l’accesso a internet, i social media – che corrispondono all’attività estrattiva e di perline di vetro luccicanti – un like, una stellina, un follower, un piccolo risparmio – come i nativi americani di fronte ai conquistatori spagnoli.

I processi che li raccolgono, li catalogano, li analizzano e li aggregano, che correlano, deducono o inferiscono, producendo le loro sentenze, sono complessi, opachi e non si sa dove avvengano né a quale legislazione rispondano.

Una governance urgente per la materia prima dell’economia digitale

L’economia digitale si è sviluppata, così, disponendo gratuitamente della materia prima di cui aveva bisogno, in quantità crescenti con l’uso. È difficile stupirsi dei profitti che ha generato: come sarebbero i bilanci delle società petrolifere se non dovessero pagare il petrolio all’Arabia Saudita?

Questi profitti, uniti al miraggio di nuovi ed ancora maggiori guadagni, hanno attirato nuovi capitali ancora più grandi. Ne è nata una spirale accelerata di trasformazione in cui il resto dell’economia e della società rimane sempre più indietro, essendo sempre meno capace di capire il fenomeno da cui è sempre più dipendente e di rapportarsi con esso.

I protagonisti di questa trasformazione digitale hanno tratto vantaggio dalla inesperienza della società e dei legislatori, operando per anni in territori non regolati, violando diritti e interessi che spesso erano sconosciuti anche a coloro che ne godevano.

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Questo, nelle fasi pionieristiche di ogni tecnologia, è fisiologico: è il premio dell’innovatore che rischia e anticipa tutti gli altri.

Oggi però l’economia digitale è un fenomeno maturo e di dimensioni enormi. Non è più possibile considerarlo ancora come un “new business” in una “new economy”: questo andava bene venticinque anni fa. Oggi non porsi il problema di gestire il rapporto fra questo mondo e il resto della società è colpevole.

E in effetti, alcune reazioni ci sono state.

Prima puntata di quattro appuntamenti

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